Prossima fermata Oriente
Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso. (Proverbio indiano)
È tornato Michael Portillo, giornalista ed ex ministro, con i suoi completini, giacche e pantaloni dagli squillanti cromatismi assortiti, giallo, rosa, blu, verde… Sempre accompagnato dalla fedele Bradshaw’s Guide del 1913 e con il solito ironico aplomb britannico che però non ha paura di mettere le mani “in pasta” quando serve, si tratti di cucinare insieme alla gente del posto o di aiutare in qualche lavoro di bassa manovalanza…
È tornato con una nuova serie proposta come di consueto da RAI 5, ma in prima visione italiana la domenica alle 21.15. Dopo aver attraversato l’Europa in lungo e in largo e gli Stati Uniti rieccolo alla Prossima fermata Oriente, in sei tappe su spettacolari tratte ferroviarie, dalla “Gerusalemme della Russia” all’India dei Maharaja e dell’impero inglese.
Nella prima puntata andata in onda il 26 gennaio lo troviamo infatti in Ucraina, su un treno che lo porta a Kiev. E dall’epoca degli imperi zarista e austroungarico di cui gli Ucraini (Ruteni) erano sudditi, dal cuore più antico e cristiano della Russia, dalla diversità linguistica e culturale, dalla ricchezza di risorse naturali e posizioni strategiche (granaio d’Europa e sbocco sul mare), dalla lunga storia tormentata di una sempre reclamata autonomia, cercando di sfuggire all’omologazione “russificante”, ci conduce Portillo al presente altrettanto tormentato, arrivando alla stazione ferroviaria, sontuoso esempio di barocco ucraino. E facendo tappa davanti alla statua dedicata alla figura di Vladimir che si convertì al cristianesimo, dando un impulso caratterizzante e fondamentale alla religiosità della sua regione. Il conduttore parla con storici e monaci, come sempre entra in punta di piedi nelle chiese, a cominciare dalla millenaria cattedrale di Santa Sofia, un complesso patrimonio dell’umanità UNESCO, nelle cui viscere si trovano corpi mummificati e ottimamente conservati dei santi, Portillo resta impressionato da una mano di Sant’Ignazio che spunta dagli abiti avvolgenti il cadavere.
Passa da un genere all’altro, il “nostro”, dallo spirito al corpo che si può allenare in una palestra all’aperto, seminata di attrezzi realizzati con ferraglia di recupero, rinuncia quasi subito a cimentarsi per recarsi al “villaggio dei cosacchi”, dove si svolgono esibizioni folcloristiche, come i duelli con le spade e acrobazie equestri, inutile dire che con sprezzo del ridicolo ci prova anche Portillo. Non mancano le interviste alla gente del luogo che dichiara di sentirsi ucraina e non russa.
Cinque ore e mezzo di treno e ci si trasferisce a Leopoli, polo industriale e culturale, ex città polacca, al centro di cruente battaglie, contesa un po’ da tutti, ucraini, russi, tedeschi… Dal ’45 inglobata nell’URSS per poi diventare parte dell’Ucraina, cattolicesimo e inni patriottici rappresentano le sue tradizioni rinate.
Seguiamo Portillo mentre penetra, con tanto di parola d’ordine, in un bunker che poi con la telecamera appresso non sarà più tanto segreto, qui come dei ribelli cospiratori si radunano i più irriducibili nazionalisti, sfoderando usi e costumi autoctoni. Quindi entriamo nell’affascinante biblioteca per sentir parlare del poeta e pittore di riferimento, Taras Shevchenko, che spicca attraverso i suoi versi e i monumenti a lui dedicati. Anche in questo caso dallo spirito al corpo e ci si trova in una casa privata per assistere alla preparazione di un piatto tradizionale come i varenyki, tortelli ripieni.
Ancora in treno, questa volta un viaggio notturno, sistemato in uno scompartimento letto dall’aria vintage, Portillo viaggia verso Odessa, porto commerciale, quarta città della Russia per popolazione e dimensione, anche qui ad attenderlo una grandiosa, scintillante stazione, una di quelle cattedrali ferroviarie così tipiche della cultura russa fin dagli esordi dei convogli a vapore. Una San Pietroburgo del sud dove si respira l’intenso cosmopolitismo, a partire dal nome dell’albergo verso cui si dirige il giornalista, lo stesso segnalato dalla Bradshaw del 1913, l’Hotel Bristol. Attualità e immaginario storico-cinematografico si sovrappongono vedendo i gradini di quella immensa scalinata diventata mitica attraverso il film di Eisenstein, La corazzata Potëmkin (1925), di cui è proiettata la celebre sequenza con la carrozzella che precipita. Portillo finisce nella SPA di uno stabilimento in parte dismesso, in parte ancora funzionante, ma in un’ambientazione non certo di lusso, a farsi maltrattare con massaggi e bagni di fango. Per concludere, sapendo quanto il giornalista ami l’opera, in uno dei più splendidi teatri della Russia (lui dice il più bello), l’Opera House dove assiste alle prove della Bella addormentata di Čajkovskij.
Domenica scorsa invece è andata in onda la puntata Da Batumi a Baku, ovvero dalla Georgia all’Azerbaigian, due mondi completamente differenti. Bellezza e ospitalità attraverso uno dei più suggestivi viaggi ferroviari che si possono fare, cioè la Transcaucasica, dal Mar Nero al Mar Caspio, su un treno moderno. Anche per Batumi, oggi petrolifera stazione balneare, il destino è quello di sempre, affondata in una stagione di grigiore sonnolento, è tornata a rifiorire dopo il periodo comunista. Clima piacevole e visioni dall’alto (con cabinovia) che permettono una panoramica sulle cime innevate e la campagna verdeggiante (la prima attrazione per i turisti) ma anche sulla vitalità sociale nei suoi contrasti architettonici.
A Portillo interessano gli aspetti non solo strettamente culturali ma anche produttivi ed economici, quindi eccolo a visitare una piantagione di tè, il famoso tè georgiano, di cui si fa spiegare la lavorazione, per concludere con il rito della degustazione. Altra città, altro treno notturno per raggiungere Kutaisi, l’antica capitale sul fiume Rioni. Ci è mostrata l’enorme cupola e l’avveniristica sede dell’ex parlamento oggi deserta, per poi farci immergere, a contrasto, nel vitalissimo mercato. Portillo è sempre ricevuto cordialmente (forse i passaggi meno cordiali sono tagliati in sede di montaggio…), ma egli sottolinea come questa città «indossi il suo passato con eleganza e dignità».
Successivamente siamo nel complesso del Monastero di Gelati e anche a Portillo ogni tanto capita di trovarsi davanti ad un monumento un po’ oscurato dalle impalcature, con la differenza (potenza della BBC) che lui sulle impalcature ci può salire con tanto di caschetto protettivo, non essendo un comune turista mortale. Da qui può visionare più da vicino le caratteristiche tegole. Il complesso è in restauro, ma si possono ancora ammirare gli affreschi della Natività della Vergine. Mentre sentiamo il racconto della storia di questo Monastero, ci viene in mente la Cattedrale di Bagrati, sottoposta a restauri così invasivi e radicali che alla fine è stata tolta dalla lista del patrimonio dell’umanità UNESCO. Toh, ogni tanto qualcuno esce… Gelati resta però.
Il viaggio verso la capitale Tbilisi è spettacolare con la galleria, al centro della rivoluzione 1905, viadotti, il saliscendi, fino a salire a 750 metri (ma sono mai saliti su un treno svizzero di montagna?) e Portillo può vedere tutto dalla cabina di comando del treno. Numerose chiese, vallate, crocevia di commerci e cultura cristiana, cosmopolita, oggi ha tutte le caratteristiche di una moderna capitale europea, vecchi quartieri e città nuova. È anche custode (in un museo privato) della memoria del più tristemente famoso georgiano, Stalin e non era questo nemmeno il suo vero cognome, qui pare visse i suoi misteriosi anni giovanili. Umili origini, figlio di una lavandaia e di un calzolaio, il padre voleva che facesse il suo mestiere, la madre che diventasse addirittura prete e in effetti egli frequentò il seminario, “addestramento per aspiranti rivoluzionari”, così è definita questa scuola dallo storico del museo che si trova in una specie di bunker. Dal seminario Stalin venne espulso perché leggeva Marx. C’è una stanza che ne ricostruisce la camera da letto, ma qui forse non è mai venuto…
Portillo continua la sua perlustrazione tra architetture audaci ed edifici storici, per poi entrare nella biblioteca e sentire il racconto su due inglesi, fratello e sorella, Wardrop, che innamorati della regione, della sua cultura, delle particolarità dell’alfabeto e della lingua, tradussero e divulgarono opere georgiane in prosa e poesia, come il poema epico nazionale Il cavaliere dalla pelle di leopardo.
Portillo si presenta con un mazzo di fiori ad un matrimonio di una georgiana e di un inglese, su basi folcloristiche, dai costumi ai cori gregoriani. E poi eccolo in auto su una ex mulattiera con un alpinista verso gli altissimi monti del Caucaso, mondo selvaggio, torri d’avvistamento, confine conteso. E per meglio vedere, fa anche un giretto in elicottero. Sempre alla ricerca delle tracce del passato nel presente, visita un vigneto: «Viticultura e fede sono i pilastri dell’identità georgiana», si sente dire dal viticoltore che gli mostra la sua enoteca, anfore in terracotta alla maniera antica per la vinificazione e assaggio dell’ambrato e aspro liquido. Tutto distrutto dai comunisti e poi tutto di nuovo da capo.
E ancora su un treno notturno, destinazione Azerbaigian, si passa il confine e Portillo è orgoglioso di mostrare che gli hanno lasciato sul passaporto il timbro con l’immagine di una locomotiva. Il paesaggio è totalmente mutato, non più territori verdeggianti, ma brulli e lunari, attraversati dai lunghissimi oleodotti, in quattordici ore si sta andando verso la terra del fuoco, verso il cuore petrolifero. A Baku piove, la stazione è un profluvio di marmi, modernità e ricchezza si respirano ovunque, hanno sgombrato le case popolari, con polemiche; internazionale e innovativa, ma Baku non dimentica la sua storia millenaria. Il cuore antico sopravvive all’ombra dei grattacieli più arditi. Le moschee rase al suolo sono risorte e riaperte, siamo in terra musulmana e asiatica. Se la Georgia guarda all’Europa, questa regione guarda ad Oriente, le accomuna la diffidenza verso la Russia. Portillo è affascinato dal verde smeraldo dell’imponente moschea. Il giornalista indossa un costume tradizionale e si cala nei panni di un arbitro per la partita di polo locale, per poi assistere ad acrobazie equestri. E naturalmente visita uno stabilimento petrolifero, il più grande del mondo, il petrolio costituisce il 90% delle esportazioni. E questa rilevanza era già sottolineata dalla Bradshaw del 1913. Come curiosità ci viene raccontato che alla corsa dell’oro nero partecipò a suo tempo anche Nobel, sì quello del premio. Una grandiosa opera ingegneristica è stata la costruzione dell’oleodotto lungo 900 chilometri, attraverso un territorio montagnoso e irto di difficoltà. Questo fa di Baku la Dubai del Mar Caspio.
Si conclude così questa sorta di dittico Ucraina e Georgia-Azerbaigian. Non ho capito bene come continua la serie. Ma successive puntate dovrebbero essere dedicate all’India. Per ora non trovo traccia di lanci. Ve lo segnalerò appena ne saprò di più.