Sergio Zavoli, un caposcuola

Il giornalista e scrittore Sergio Zavoli

Il giornalista e scrittore Sergio Zavoli.

È sempre un’operazione ardua comprimere una vita in un piccolo perimetro di parole. Con Sergio Zavoli, morto ieri a 96 anni, è un’impresa da far tremare i polsi, quando si consideri il suo lunghissimo percorso umano e professionale e lo sconfinato territorio dei suoi incontri. Di fatto, non c’è campo della comunicazione – ma circoscriverlo qui sarebbe riduttivo – dove il giornalista, scrittore, direttore, presidente, senatore non si sia addentrato. E in ogni sfida che affrontava, diventava un punto di riferimento, un modello. Per molti, me compreso, l’ho sempre confessato, era un esempio. Sergio Zavoli ha insegnato “come” affrontare la notizia, “come” raccontare la vita, anche nei suoi più duri risvolti, anteponendo a tutto il rispetto della persona. Quando c’è quello, si può raccontare anche il dramma più sconvolgente senza eccedere.

A intuirne le capacità, 73 anni or sono, fu il padre di Walter Veltroni, che lo segnalò in RAI: di questo bisogna essergli riconoscente perché ha consentito di scoprire quello che è diventato un patrimonio del giornalismo, della cultura, della politica. Un caposcuola: termine che riassume una carriera impastata di intelligenza e sensibilità, equilibrio e misura. Poi ci mise la mano anche Enzo Biagi, che possedeva innegabile fiuto in materia. Ma la materia prima, la bravura, la classe erano nel DNA di Sergio, che ha realizzato capolavori, dalla radio alla televisione, dai giornali ai libri.

Dal Processo alla tappa alla Notte della Repubblica

Impossibile per chiunque quantificare la “produzione” di questo vero signore, decisamente d’altri modi rispetto al panorama mediatico del presente: siamo davanti all’immensità. Con questo intellettuale di prim’ordine, ci si deve limitare ai pilastri che sorreggono il grattacielo da lui costruito. Professionista colto ed elegante, convincente anche nel modo di colloquiare, dall’aspetto sempre curato – l’abito con lui faceva anche il monaco – ha spaziato in tutti i campi. Chi ha i capelli grigi, se ancora li ha, tiene scolpiti nella memoria i suoi “processi alla tappa”, al seguito del Giro ciclistico d’Italia. Fece diventare popolari corridori più di quanto riuscissero a fare le loro stesse imprese. Come non ricordare Vito Taccone o Giorgio Zancanaro. Erano gli anni in cui vinceva la maglia rosa Balmamion e delle sfide sui passi alpini fra Charly Gaul e Imerio Massignan. Zavoli era un esploratore e poi narratore delle storie che sapeva far affiorare dall’animo delle persone che portava al microfono e in video. Preferiva la fatica e il sudore dei gregari ed era riuscito a far diventare protagonisti anche gli ultimi, quelli che allora indossavano la maglia nera, come Lucillo Lievore, che finì anche nel primo libro di grande successo, “Socialista di Dio” (due parole che sono la sua tessera: di simpatia politica per il socialismo e di credente che si interrogava senza fine).

Altro monumento storico: Zavoli portò il microfono oltre le grate e realizzò un radiodocumentario nel 1958 che fa ancora parlare oggi. Con delicatezza seppe far brillare la testimonianza di Maria Teresa Tosi, suor Maria Teresa dell’Eucaristia, fondatrice delle Piccole Sorelle di Maria nell’eremo che lei stessa aveva trovato e ricostruito dalle macerie a Collepino, sopra Spello.

Zavoli è una stella di prima grandezza nel firmamento della RAI, di cui ha contribuito a consolidare prestigio e credibilità nei molti ruoli che ha occupato, da direttore a presidente, con innumerevoli inchieste epocali, dalla Notte della Repubblica a Credere non credere sulla fede, opere che meriterebbero di essere ri-programmate, anche per ammirarne la profondità e lo spessore dei contenuti.

E da riproporre ci sarebbe anche una serata a tutto tondo di Zavoli dal Podio di Rete Due della RSI al “De la Paix” di Lugano con Enrico Morresi: momenti qualificanti di un giornalismo e di proposte da rimpiangere.

Insuperabile nel mestiere dell’intervistatore

Lunga la collana dei titoli di libri dove Zavoli rivela il suo eccezionale talento di intervistatore, con domande mirate, confezionate al centimetro per le personalità che avvicinava per i progressi della medicina (Viaggio nella salute. La lunga vita) per sapere dove stiamo andando (Di questo passo) con interviste da antologia ai numeri uno in ogni campo in cui entrava: giornalisti, sociologi, imprenditori, politici, puericultori, psicologi, geriatri, Premi Nobel, filosofi, religiosi, attori, scultori, ecc.

E avvincente è anche la narrazione del suo mestiere, dei suoi incontri, dei suoi anni, delle persone che ha incontrato e di cui ha fatto originalissimi e intriganti ritratti, da Diario di un cronista. Lungo viaggio nella memoria a Il ragazzo che io fui. C’è la storia raccontata con serietà e rigore. Altra tessera del suo policromo mosaico: il giornalismo scritto (fu direttore al Mattino di Napoli), collaboratore seguitissimo della rivista Epoca dei bei tempi, prima della immeritata fine.

Di Sergio Zavoli, un vero Grande, ricordo la disponibilità rara, la semplicità nell’approccio, una gentilezza di cui si sta perdendo traccia. Per ogni richiesta d’intervista, lui c’era e sapeva andare oltre la superficie per centrare il cuore dell’argomento. Mi fece questa lucida analisi della famiglia: «La caduta di tanti valori radicati nella tradizione, dei miti ideologici, e lo smarrirsi di molti principi ritenuti fondamentali, hanno accelerato una crisi della famiglia come spazio peculiare per l’acquisizione dell’identità umana». Qualche volta, quando l’argomento era impegnativo, Zavoli chiedeva di avere le domande scritte per poter rispondere compiutamente. Accadde, ad esempio, per un’intervista del 1996 sul Giornale del Popolo in cui si affrontavano i temi dell’educazione, di un’informazione incline a far credere che tutto sia provvisorio (oggi poi, con i social…), dell’essere e dell’avere, della crisi del senso comunitario e dell’eclissi di Dio. Chiese il tempo di pensare prima di rispondere. Questo era il professionista che voleva e amava essere anche a 75 anni, anche a ottanta e oltre. Oggi molti rispondono anche quando non hanno niente da dire.

Un ultimo ricordo che rivela l’Uomo Sergio. Nel 2001, per “Il Giornale che parla”, con il GdP era stato agendato un incontro a Lugano. Ci fu un’incomprensione di data tra lui e l’ufficio che aveva acceso il contatto. Era già arrivato in aereo da Roma a Linate. Chiamò al giornale, si rammaricò e con la classe che era un suo distintivo, aspettò il primo volo per il rientro. Gli bastò un grazie che ricambiò offrendosi per un nuovo incontro. Gli impegni della sua inesausta attività non lo consentirono. Lo stile, come sempre, rivela anche l’uomo.

Giuseppe Zois

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