Consegnati nel Ticino i Premi Terra Nova
Per la prima volta, dal 2013, la cerimonia di consegna dei premi letterari Terra Nova assegnati dalla Fondazione Svizzera Schiller si è svolta nella Svizzera italiana, ieri 11 maggio a Villa Saroli di Lugano. A fare gli onori “locali”, dopo un breve saluto di Fabiano Alborghetti, presidente della neonata Casa della Letteratura che ha ospitato l’evento, Yari Bernasconi che, insieme a Pietro De Marchi, fa parte della giuria italofona della Schiller. Un nuovo luogo per dei riconoscimenti giovani, volti a sostenere ed incoraggiare esordi di autori, opere prime…
Ma la Schiller ha una lunga storia e tradizione alle spalle che risale agli inizi del secolo scorso. Si è costituita infatti nel 1905, come ha spiegato il presidente Dominik Müller, sforzandosi anche di parlare in italiano (ma in perfetto stile elvetico l’incontro è stato poi caratterizzato dal plurilinguismo, ognuno ha utilizzato la sua di lingua), da allora ha assegnato premi di letteratura per le quattro regioni linguistiche e ogni quattro anni un Gran Premio (quattro gli svizzeri italiani: Chiesa, Mascioni e i due Orelli), un ruolo fondamentale soprattutto per il Ticino dove non esistevano premi di questo tipo. Poi i tempi sono cambiati, la Fondazione non riusciva più a sostenere un tale impegno a livello finanziario e nel 2012 è entrata in vigore la legge sulla promozione della cultura. Dal 2013 i premi letterari, compreso il Gran Premio, sono assegnati dalla Confederazione, sono premi che in genere confermano un valore più che portarlo alla luce. Lo si vede anche in ambito teatrale, è stato assegnato quest’anno un premio del teatro a Vania Luraschi e dal punto di vista ticinese verrebbe da dire: “meglio tardi che mai”.
Ma la Fondazione Schiller non è scomparsa, si è inserita in una nicchia ancora scoperta, quella appunto del primo libro di poesia o narrativa, di chi non è ancora conosciuto ma va ri-conosciuto e quello della traduzione (l’ammontare dei premi è di 5000 franchi).
Ed ecco dunque alternarsi i premiati di quest’anno, due di lingua tedesca, un francofono e un italofono, presentati e intervistati, tra la lettura di brani, da un membro della giuria. Matthias Amman (di cui si è occupato lo stesso Müller), classe 1972, formazione di avvocato ma con studi anche letterari, propone il suo primo libro, la raccolta di nove racconti Hunde im Weltraum di cui, sottolinea la motivazione, “niente lascerebbe pensare alla voce di un esordiente, vista la notevole sobrietà e l’impegno con cui sono evocati i contesti, le situazioni e i personaggi”. Personaggi tra i trenta e i quarant’anni che vivono in città e svolgono una vita normale fino a quando un episodio inatteso “ripoterà alla superficie un passato incompiuto (…) I densi racconti ci insegnano molto sulla solitudine degli uomini d’oggi e ci mostrano quanto una scrittura asciutta e allusiva possa essere un valore letterario aggiunto”.
Lo stesso Yari Bernasconi ha poi introdotto Fabio Andina, coetaneo di Amman, nato a Lugano, studi in cinematografia, vive nel Ticino e La pozza del Felice, suo primo libro, è stato pubblicato dall’editore calabrese Rubbettino (a suo tempo di questa opera se ne era anche occupato il nostro magazine del sabato). Lunga e dettagliata la motivazione: «La trama del romanzo La pozza del Felice di Fabio Andina sembra elementare: un uomo – l’io narrante – decide di seguire un vecchio montanaro nelle sue “giornate scandite dalle stesse immutabili abitudini”. Queste poche parole offrono già uno sguardo significativo degli intenti del libro, che si propone come un’osservazione minuziosa della vita quotidiana in un villaggio montano del Canton Ticino – più precisamente Leontica, Valle di Blenio – attraverso i gesti di chi ha costruito un rapporto privilegiato con la natura. Viene subito in mente quel filone di libri dedicati alla montagna che negli ultimi anni riscuotono notevole successo nella narrativa italiana (Mauro Corona, Paolo Cognetti, l’ultimo Marco Balzano). Eppure La pozza del Felice sembra discostarsi dalle riflessioni ecologiche o nostalgiche che solitamente questi libri portano con sé; Fabio Andina orienta infatti tutta la sua attenzione verso i dettagli del quotidiano, permettendo agli oggetti e ai riti più banali – e ignorati – di emergere con il loro fascino e il loro mistero. Anche il personaggio del Felice, a modo suo tenero e curioso, non incarna la figura dell’ultimo superstite, bensì quella di un uomo fuori dal tempo, pateticamente scollegato dalla realtà se deve uscire dal suo (piccolo) mondo. L’impronta stilistica del romanzo è ben riconoscibile e volta a ridurre distanza fra scritto e orale, e in generale fra lettore e libro, con una scrittura vicina al parlato, dove si riconoscono dialettismi, elvetismi, oltre a esitazioni o interiezioni tipiche dell’oralità. Ne risulta una lettura avvincente, lungo pagine in cui – si potrebbe dire – non succede nulla e proprio per questo succede di tutto. La pozza del Felice è insomma un libro sorprendente e inatteso; di certo, per quanto riguarda la Svizzera italiana, una delle pubblicazioni più interessanti degli ultimi anni». Felice, aggiungiamo, è un personaggio realmente esistito.
Nicolas Couchepin (della giuria romanda insieme a Elisabeth Jobin) ha consegnato il diploma a Roman Buffat, il più giovane, nato a Yverdon -les-Bains nel 1989, studi letterari e in scrittura creativa. Il suo romanzo Schumacher “parla della tragica grandezza degli esseri umani, assurdi e irrisori, e al tempo stesso grandiosi come figure mitiche. La magnifica piccolezza dei personaggi che popolano questo breve romanzo lascia al lettore un’irrefrenabile nostalgia e il desiderio di amare nonostante tutto questi minuscoli destini d’individui che attraversano la vita quasi per caso, personaggi con un sorriso imbarazzato che rivela tanto il coraggio – e persino l’eroismo – quanto la viltà…”.
E infine un altro autore che possiamo considerare rappresentante della quinta o sesta Svizzera: Usama Al Shahmani, nato in Iraq nel 1971, studi in letteratura araba, emigrato in Svizzera nel 2002, lavora oggi come interprete e mediatore culturale e ha anche tradotto in arabo opere di scrittori svizzero tedeschi. Vive a Frauenfeld. Ieri a colloquio con Manuela Waeber per il suo libro, evidentemente autobiografico, scritto in tedesco: In der Fremde sprechen die Bäume arabisch, non scrive del suo arrivo, ma della vita che sta in mezzo: “tra l’Iraq e la Svizzera, tra la guerra e la pace, tra i concetti di patria e di paese straniero, o ancora tra la lingua e la cultura arabe da una parte e quelle tedesche dall’altra”. Con poesia e umorismo.
Un libretto, nelle quattro lingue nazionali, è stato realizzato per l’occasione, distribuito al numeroso pubblico presente (quasi un’ottantina di persone).
Manuela Camponovo