A Barocchisti e Coro, ferite aperte

I Barocchisti

I Barocchisti.

L’Orchestra della Svizzera italiana darà prossimamente un concerto nella sala dei Concerti di Tallin, capitale dell’Estonia. Un invito apprezzato da Markus Poschner, direttore dell’OSI, intervistato dal sito della CORSI (14.03.2019, 10.14), che a Natascha Fioretti dichiara di veder soddisfatto così un bisogno di scambi culturali di cui c’è oggi più bisogno che mai. Alla domanda da un milione di dollari: «È soddisfatto del sostegno del servizio pubblico radiotelevisivo alla musica classica in generale?», Poschner risponde diplomaticamente: «Per essere onesti, non è mai abbastanza». E poi fa alcune proposte, per esempio quella di «creare una sala di concerto digitale in LAC come fece la “Berlin Philharmonic” (?) e moltiplicare l’offerta di concerti trasmessi», per concludere: «Solo insieme siamo in grado di muovere la realtà. Il cuore dell’identità è sempre cultura, ovunque. Quindi creiamo il nostro futuro».

In realtà, negli ultimi anni e mesi le cose si sono mosse in una direzione affatto contraria, in particolare con l’annuncio della separazione dalla RSI del Coro e dei Barocchisti, venduta come una transizione di routine. L’impressione è invece che siano stati abbandonati a loro stessi organismi di cui fino a ieri l’Ente si faceva un vanto. Pure esternalizzata l’organizzazione dei concerti pubblici dell’OSI, una decisione che, oltre alla perdita di competenze all’interno, significa anche rinuncia a essere motore della vita musicale in Ticino. Mi hanno fatto un po’ pena, perciò, i componenti quel magnifico complesso che è il Coro della Radiotelevisione svizzera, visti indaffarati al botteghino dei biglietti prenotati prima degli ultimi concerti all’auditorium “Stelio Molo” della Radio. Anche il Coro, infatti, come i Barocchisti, pare sia ridotto a dover… campare su se stesso, senza più appoggi che non siano gli acquisti delle produzioni da diffondere. Carlo Piccardi è stato il primo e purtroppo l’unico nel denunciare il doppio sgarbo nell’articolo pubblicato da laRegione il 22 novembre 2018 («Separazione con addebito a chi?»), che rimanda per le molte analogie agli articoli pubblicati all’epoca della crisi dell’OSI («OSI: domande e risposte», laRegione, 14 maggio 2016; «Il Ticino si merita un’orchestra?», laRegione, 24 dicembre 2017).

Con la stessa convinzione con cui ho sostenuto le ragioni del sostegno pubblico alla SSR contro l’iniziativa per abolire il servizio pubblico radiotelevisivo – fortunatamente bocciata dall’elettorato svizzero il 4 marzo 2018 – mi sembra giusto esprimere incredulità e inquietudine per la mancanza di sensibilità che l’ente dimostra verso due delle sue componenti più significative. Piccardi ha ragione quando sottolinea il trattamento peggiore riservato al Coro e ai Barocchisti: «Alla fondazione dell’OSI si è giunti dopo un iter ben meditato e concordato con il Cantone, in grado di assicurare una soluzione di stabilità e di continuità certa. In questo caso, la prospettiva è piuttosto avventuristica e del tutto incerta, poiché altri sostegni istituzionali non si intravedono, poggiando la responsabilità dei due complessi sull’individuale figura di Fasolis, personalità di molti meriti e con capacità di iniziativa notevoli, ma che si troverà a muoversi nell’azzardo: una scommessa e un rischio a fronte dei quali c’è da chiedersi quale ne sia la giustificazione».

Poiché mancano del tutto informazioni ufficiali coerenti, mi chiedo se, trattandosi di due complessi piccoli (poche decine di componenti), almeno non fosse possibile alla RSI sostenere dei due complessi almeno un segretariato attrezzato, più che necessario in un’epoca in cui la concorrenza si vince soprattutto facendosi conoscere… con insistenza. I Barocchisti e il Coro, per non dire di Fasolis, crollano sotto una pila di affermazioni – produzioni discografiche, concerti in sedi importanti, premi prestigiosi –, il loro destino non può perciò dipendere da valutazioni contabili. La notevole partecipazione di pubblico agli ultimi concerti tenuti nell’Auditorio Stelio Molo dimostra che i due complessi sono stati adottati dal pubblico non meno della valorosa Orchestra della Svizzera italiana.

A Piccardi, ricercatore puntuale delle passate glorie della RSI, rincresce che ci si muova in controtendenza rispetto a una tradizione, quella che aveva indotto la Radio, negli anni Trenta del Novecento, alla creazione ex nihilo, in un ambiente economicamente più povero, di un coro e di un’orchestra stabili che nei decenni successivi si sarebbero affermati come un dono prezioso alla cultura non solo locale. Non serve più, alla SSR, la patente di tutrice dell’arte musicale? Davvero le logiche aziendali sono inaggirabili? E poi, che dico?: “logiche aziendali”? In altri Paesi le istituzioni radiofoniche pubbliche, persino in Italia – dove a sentir Quirino Principe per la musica classica non c’è rispetto almeno dal tempo di Francesco de Sanctis (1817-1883), ministro dell’Educazione della “Nuova Italia” – un’orchestra sinfonica a Torino e una da camera a Napoli sono sopravvissute a un analogo giro di risparmi. «Perché mutilare e spogliare le istituzioni che hanno lo scopo preciso di combattere e distruggere l’ignoranza?» si domandava Victor Hugo, citato da Gianfranco Ravasi sul Sole24ore del 17 marzo.

La risposta a questi interrogativi la attendiamo alla prossima assembla della CORSI.

Enrico Morresi

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