Addio al drammaturgo Giuliano Scabia

Giuliano Scabia nel 1993, in occasione del Premio Brunacci, assegnatogli per “Nane Oca”.

È morto il 21 maggio a Firenze il drammaturgo, poeta e scrittore italiano Giuliano Scabia. Docente di Drammaturgia al DAMS di Bologna dal 1972 al 2005, qui forgiò diverse generazioni di teatranti. «Ci ha lasciato un grandissimo maestro del teatro e della poesia, visionario ed eclettico, dotato di un’umanità rara, nato altrove ma che aveva scelto Firenze per l’ultima parte della sua vita». Lo afferma l’assessore alla cultura di Firenze Tommaso Sacchi, appresa la notizia della morte di Giuliano Scabia. Anche l’assessore alla cultura di Padova, Andrea Colasio, ha espresso il cordoglio della sua città per la scomparsa di Scabia. «Ci ha lasciato Giuliano Scabia, una tra le personalità più importanti della cultura italiana che, pur vivendo da anni a Firenze, non aveva mai dimenticato Padova, la città in cui era nato nel 1935, e il cui spirito si ritrova spessissimo nelle sue opere e nella sua poetica».

Giuliano Scabia aveva iniziato a produrre le sue visioni immergendosi nella poesia con Padrone & Servo (1964). Collaborò con Luigi Nono con testi per La fabbrica illuminata, composti ascoltando gli operai dell’Italsider di Genova. Dopo l’incontro con il regista Carlo Quartucci, aveva scritto i primi testi per il teatro, Zip-Lap-Lip-Vap-Mam-Crep-Scap-Plip-Trip-Scrap e la Grande Mam (1965), in parte creato sul palcoscenico con gli attori (tra gli altri Leo de Berardinis, Claudio Remondi, Rino Sudano). Questa pièce era stata, insieme all’azione All’improvviso, il primo tassello del ciclo del Teatro vagante, comprendente testi pubblicati, canovacci per azioni a partecipazione (li chiamava “schemi vuoti” da riempire con chi prendeva parte alle esperienze), squarci poetici per il teatro, testi non pubblicati, visioni, per un totale di 102 titoli.

A Torino, nel 1969-70, creò un laboratorio che girava per i quartieri periferici inventando teatro dilatato, aperto agli abitanti, radicato nello spazio degli scontri della città reduce dall’“Autunno caldo”. Il lavoro di quegli anni è documentato nel volume di Bulzoni Teatro nello spazio degli scontri, un testo nel vivo delle utopie e delle contraddizioni del post ’68. Un noto progetto è quello realizzato a sostegno del superamento della logica manicomiale presso l’Ospedale Psichiatrico di Trieste nel 1973, col gigantesco cavallo azzurro (“Marco Cavallo“), con Vittorio e Franco Basaglia. Il cavallo di cartapesta, la cui storia è raccontata nel volume dallo stesso titolo del 1976, divenne simbolo del desiderio di libertà da parte degli internati nell’Ospedale Psichiatrico.

n/a