Antonio Ligabue, il “Van Gogh” svizzero

Verrà inaugurata il 1. aprile alle 18.30 presso il Museo “Im Lagerhaus” la mostra “Antonio Ligabue – il Van Gogh svizzero”, curata da Sandro Parmiggiani, Monika Jangfeld, e Renato Martinoni, professore emerito di Letteratura all’Università di S. Gallo, esperti del pittore e le cui ricerche hanno aperto nuove importanti prospettive di indagine.  Per l’occasione Skira pubblica un Catalogo in tedesco e in inglese, curato dai tre esperti, intitolato: Antonio Ligabue – der Schweizer Van Gogh – The Swiss Van Gogh (Milano, 2019).

Antonio Laccabue (da tutti conosciuto come Ligabue) nasce il 18 dicembre 1899 a Zurigo, figlio di Elisabetta Costa, una donna originaria di Belluno. Affidato, nel settembre del 1900, a una coppia di svizzeri, Elise Hanselmann e Johannes Valentin Goebel, rimane orfano di mamma Elisabetta nel 1913.

I suoi comportamenti, a volte difficilmente comprensibili, lo porteranno ad avere un percorso scolastico tormentato. Espulso poi dalla Svizzera, Antonio viene condotto da Chiasso a Gualtieri, il paese di origine del padre adottivo (nel 1955 dedicherà all’episodio un dipinto, intitolato “Ligabue arrestato”, ritraendosi in manette, di fianco a due carabinieri su una carrozza), ma prova a scappare immediatamente, anche perché non conosce la lingua italiana.

Il suo tentativo di fuga verso la Svizzera, però, fallisce, e il giovane viene riportato al paese e ricoverato nell’Ospizio di mendicità Carri.  L’incontro che gli cambia la vita avviene nel 1928, quando Renato Marino Mazzacurati, uno dei fondatori della Scuola Romana, intuisce il talento che si nasconde nella sua arte genuina e gli insegna a utilizzare i colori a olio. Nel 1932, Ligabue riceve l’accoglienza di Licinio Ferretti, flautista di fama internazionale e collezionista di dipinti di arte contemporanea. Ormai indirizzato verso una matura e completa valorizzazione del proprio talento, Antonio decide di dedicarsi anima e corpo alla pittura, proseguendo i suoi viaggi senza meta lungo il Po.

Le sue opere figurative si presentano come squillanti, addirittura violente e nostalgiche, condite con dettagli precisi e spesso ambientate in scenari di vita campestre, con immaginazione e memoria che si mescolano a seconda del paesaggio rappresentato. E così Ligabue, che ormai riesce a mantenersi grazie alla pittura, nel frattempo si dedica anche alla scultura con la terracotta.

Abbandonata, intorno al 1954, la scultura, riserva tutto il proprio tempo alla realizzazione di dipinti, non di rado di dimensioni imponenti, in cui esprime la propria concezione dell’esistenza come lotta perenne, battaglia senza tregue, intervallata solo raramente da piccoli momenti di serenità. Sono gli autoritratti, in particolare, a svelare questa idea della vita.

Concentratosi sull’acquaforte, nel 1955 Ligabue allestisce la prima mostra personale in occasione della Fiera Millenaria che si svolge a Gonzaga, non lontano da Mantova, mentre l’anno successivo prende parte al “Premio Suzzara”. Nel 1957 è protagonista di un servizio (molto famoso ancora oggi) pubblicato sul “Resto del Carlino”, firmato da Severo Boschi e dal fotoreporter Aldo Ferrari, che lo immortalano a Gualtieri.

In occasione della mostra, vi saranno per il pubblico più occasioni di incontro. Si segnalano in particolare le due conferenze, martedì 2 aprile, alle 18.30, di Sandro Parmiggiani (“Dall’esilio alla patria perduta, da Gualtieri a San Gallo”) e martedì 7 maggio con l’intervento del prof. Martinoni dal titolo “Die Schweizer Jahre von Antonio Ligabue”. 

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