A Antigone: il classico di Sofocle e la sua contemporaneità

Una scena da “Antigone” (© Duccio Burberi)

La forza della tragedia greca rimane fortemente ancorata alla sua grande attualità. Quando poi viene spogliata dalla teatralità più classica e invadente, quando si nutre di un’efficace traduzione, quando lascia alla parola tutto il suo impeto comunicativo interiore, ecco che il messaggio diventa il nutrimento ideale per una giusta fruizione.
Virtù che il talentuoso regista reatino Massimiliano Civica ha saputo cogliere regalandoci un adattamento dell’Antigone di Sofocle che, nella semplicità dell’idea di allestimento, svela tutta la sua potenza.
È quanto ci è stato proposto ieri sera sul palco della Sala Teatro del LAC le cui gradinate erano interamente occupate da un pubblico attento e in gran parte composto da giovani studenti (bontà loro).
Ad accogliere gli spettatori una scena spoglia al cui lato giace un manichino. È la salma di Polinice, fratello di Antigone, a cui è stata negata la sepoltura in quanto ritenuto colpevole della guerra civile che l’ha schierato contro Eteocle, altro fratello, morto anche lui nella battaglia. Antigone decide di trasgredire a quella normativa decisa da Creonte, re di Tebe e suo zio.
Creonte è un tiranno asceso al potere per volontà dei cittadini, un tiranno democratico dunque, le cui decisioni inflessibili, agli occhi degli spettatori ateniesi del V secolo a.C., potevano apparire condivisibili. Come la punizione inflitta al cadavere di Polinice, traditore e sacrilego.
Elementi che vengono esposti in scena dai personaggi schierati su una panca disposta sul fondo e di volta in volta chiamati a esporre le proprie ragioni e partecipare ai dialoghi. Come Antigone che rifacendosi a leggi non scritte si pone in contrapposizione al volere del duce (il costume richiama l’epoca fascista), rivendicando la pietà del suo gesto in nome del volere degli dei. Nonostante la saggezza del Corifeo, voce del popolo, il confronto fra la volontà del tiranno e la sua pacata avvedutezza non sembra salvare la situazione. Nemmeno l’intervento di Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, smuove la decisione del comandante. Ci vorrà un’infausta predizione del cieco Tiresia per farlo ricredere. Ma sarà troppo tardi. Antigone e Emone moriranno suicidi, così Euridice, moglie di Creonte.
Così riassunta, la tragedia ha il sapore di un’irrefrenabile ecatombe melodrammatica. In realtà, e da sempre, le interpretazioni sul capolavoro di Sofocle hanno portato alle più disparate conclusioni. Soprattutto nella lettura di uno scontro dialettico fra princìpi opposti.
Come sosteneva Hegel che vi individuava lo Stato contro la Famiglia, la Politica contro la Religione, il Maschile contro il Femminile, la Legge divina contro quella Umana, la Ragion di Stato contro la Coscienza individuale. Uno straordinario campo di battaglia filosofica che il regista di Rieti ha trasformato in un manifesto della contemporaneità, dove ognuno può vederci ciò che vuole.
Resta comunque evidente la rilevanza politica del testo di Sofocle, che entra nel profondo delle dinamiche politiche più attuali legate alle leadership che, certe di interpretare il bene comune, mascherano interessi dettati dalla superbia e dalla miopia generata dal potere, dalla sicumera.
Uno spettacolo rivelatore e intenso (pure relativamente breve: un’ora), con una recitazione anomala per puntualità sulle parole, lucidità d’esecuzione e essenza espressiva. E una regia sorprendente per asciuttezza e efficacia.
Applausi sinceri e generosi per Oscar De Summa (Creonte), Monica Demuru (Ismene, Tiresia, Euridice), Monica Piseddu (Antigone), Francesco Rotelli (Guardia, Emone), Marcello Sambati (Corifeo).
Si replica ancora stasera con inizio alle 20.30.

Giorgio Thoeni

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