Applausi per Donka al LAC, l’omaggio a Cechov di Daniele Finzi Pasca

Un piccolo sonaglio nei precari equilibri dell’esistenza

Manuela Camponovo

Anche se i toni della polemica si sono accesi nelle ultime ore in modo tale da rendere sempre più difficile il dialogo e se nelle prime file della platea del LAC si potevano notare vistosi vuoti (un boicottaggio?), ieri sera era il momento dello spettacolo atteso da tempo. Donka, dunque, appena ripreso la scorsa settimana a Vevey, ad otto anni dal debutto, creato nel 2010 per il Festival di Mosca e i 150 anni della nascita di Cechov… La cifra stilistica di Daniele Finzi Pasca si sposa idealmente con la leggerezza malinconica dell’autore russo. In chiave circense, nell’alternanza onirica di siparietti comici e lirici, dialoghi e brevi racconti, coreografie terrestri e aeree, onde musicali di echi classici o di tradizione popolare, variazioni cromatiche dei fondali, un caleidoscopio dell’anima in toni trasparenti o brucianti…. ci si immerge nelle citazioni, nel pensiero, nella vita poliedrica dello scrittore, medico, pescatore. La pesca è il leitmotiv simbolico del percorso con canne, fili e nastri, pescare come passione contemplativa, aspettare che i pesci abbocchino con l’avvisaglia del campanellino (“donka”, appunto) come le idee, le storie, i personaggi colti nella quotidianità di una umanità borghese che si fa protagonista del suo declino.

E il regista “pesca” anche lui nell’acqua dei ricordi personali, nella biografia o nelle origini che lo legano al vissuto luganese. S’inizia infatti dall’evocazione dello splendido e imponente castello di Trevano voluto dal barone russo Paul von Derwies, segretario dello zar, alla cui realizzazione, ultimata nel 1870, partecipò anche il ticinese Francesco Botta. E della sua fine ingloriosa quando venne demolito nel 1962, al suo posto una scuola, quella che oggi è la SUPSI. Si ritrova qui uno dei filoni tematici di Finzi Pasca ma che accompagna anche l’opera di Cechov, la nostalgia per un passato di natura e cultura irripetibili che può rivivere solo nella memoria, quando è riportato alla luce del presente.

Camici bianchi, parodistiche sequenze ospedaliere con un paziente fachiresco, danza di letti (la morte e la malattia sempre temi ricorrenti), apparizioni a tormentone come quella del Kostantin suicida, la vicenda di un teatro pagante che si mescola con le lezioni anatomiche, figurine pattinanti e volanti, goffe e romantiche, in cui si distinguono e confondono gli antieroi letterari nel precario equilibrio di esistenze irrisolte, di illusioni infrante, fino alla luminescente e aleggiante visione delle tre sorelle che, in una crescente apoteosi, conclude il primo atto.

Immagini emotivamente potenti emanano, veicolate anche dai contrastanti cambiamenti di colori e di umori, dai sanguigni rossi accesi alle delicatezze celesti, secondo una tecnica ormai collaudata, ma espressa con maggiore coerenza e credibilità rispetto alle ultime, più recenti, produzioni di Finzi Pasca. Non capiscono quello che facciamo, è sottolineato di tanto in tanto, anche qui i riferimenti transitano dal grande ieri ad un più modesto oggi, con amarezza, forse, pensando alla sua contestuale attualità.

Lo spettacolo ci accompagna fino alla morte di Cechov, citata più volte e sulla quale, in un’aura mistica, cala il sipario. Applauditi a lungo i dodici componenti, fedeli compagni d’avventura, del gruppo di Daniele.

Repliche: fino al 16 ottobre, alle ore 20.30; il 13 anche alle 14.30; domenica 14 solo alle 14.30

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