Armando Punzo al Teatro Sociale di Bellinzona per raccontare del teatro che salva
Attiva da trent’anni nel carcere di massima sicurezza di Volterra, la Compagnia della Fortezza è un’esperienza teatrale unica per rigore e qualità degli esiti artistici. “Il Figlio della Tempesta”, che ne racconta la storia, è un susseguirsi di musiche, parole e immagini per un allestimento speciale, pensato come un viaggio nella storia della Compagnia, che quest’anno compie trent’anni. L’allestimento verrà presentato al pubblico ticinese quest’oggi alle 20.45 presso il Teatro Sociale di Bellinzona. Sul palco, oltre alle musiche del drammaturgo Andrea Salvadori, lo stesso Armando Punzo, fondatore e regista della Compagnia, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Signor Punzo, è da 30 anni che lavorate con i carcerati. Come è nata l’idea e la collaborazione con il penitenziario di Volterra?
“Era il 1988 e nella mia testa si configurava una scelta molto precisa: avevo l’impressione che stessimo attraversando un periodo storico di scelte inutili; il mondo migliore che potessimo immaginare non trovava risposta nei teatri ufficiali. Cercavo dunque un luogo dove ricominciare da capo, un luogo dove far ripartire, in un certo senso, il teatro. L’ho trovato in una realtà della Toscana – sempre molto all’avanguardia in questo, anche nell’abolire la pena di morte, prima tra tutte le regioni italiane – che raccoglie persone non predisposte all’arte, alla cultura, alla bellezza. Il carcere di massima sicurezza di Volterra mi ha fatto scoprire questo: quanto potente potesse essere il teatro nel trasformare la realtà. Attraverso la cultura, siamo riusciti a trasformare un carcere in un luogo totalmente altro”.
Ha in mente un episodio in particolare?
“Più che un episodio (che sono tanti), una persona: Aniello Arena. È stato membro della Camorra di Barra, quartiere della periferia di Napoli, ed è stato condannato all’ergastolo per aver partecipato, l’8 gennaio 1991, alla strage di piazza Crocelle a Barra, venendo poi detenuto nel carcere di Volterra. Ma, dopo aver lavorato a lungo con noi e partecipato alle nostre iniziative dentro il carcere, ottenuto il regime di semilibertà diventa attore professionista e debutta nel mondo del cinema come interprete del film Reality di Matteo Garrone, che gli vale persino una candidatura al David di Donatello per il miglior attore protagonista nel 2012. Una storia che parla da sola”.
Cosa può dare il teatro a un detenuto? Di quali valori ci parla il vostro teatro?
“Il teatro ti parla di una comunità capace di mettersi insieme per lavorare ad una visione di un uomo nuovo. Se parliamo in termini di ere, credo bisogna smetterla di parlare dell’homo sapiens come il punto di arrivo, come un traguardo, la soluzione di tutto; non ci sarà infatti alcuna possibilità per l’uomo, se esso non imparerà a riscoprirsi anche homo felix, a scoprire cioè la possibilità della felicità nella sua vita. La prigione è metafora di un carcere ben più ampio, il prigioniero è metafora di ciascuno di noi. Da questa percezione della realtà, nasce anche il mio lavoro”.
Laura Quadri