Barcellona – 9
L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso. (Anne Carson)
Sabato – ancora Montjuïc
Il mio soggiorno barcellonese sta per finire. Penultimo giorno e ritorno sulla collina. Prima di tutto vado a vedere il Pavelló Mies van der Rohe, un altro lascito dell’Esposizione, semplice, luminoso, lineare con le sue trasparenze acquatiche in chiave Zen. Un punto di riferimento per generazioni di architetti, progettato nel 1929 dall’artista da cui ha preso il nome, rappresentativo del Padiglione tedesco, fu smantellato e poi ricostruito, vetro, acciaio, marmo… Una folgorante contemplazione.
Dopo di che salgo per la strada a tornanti, sulla via m’imbatto nella candida costruzione della Fondaciò Joan Miró, ma decido di trascorrere la mattinata tra i vari giardini di cui è seminato il parco.
La funivia è in manutenzione, sostituita da un bus-navetta che evidentemente non è la stessa cosa. Allora preferisco fare un pezzo a piedi. Il pomeriggio lo trascorrerò allo spettacolare Museu Nacional d’Art De Catalunya che si raggiunge con una serie di scale mobili. Dalla terrazza sento le canzoni popolari catalane, spagnole, anche italiane di un artista di strada. E poi entro, il sabato pomeriggio l’ingresso è gratuito.
Enorme l’atrio con ariosa cupola, un misto di moderno e antico che fa sentire veramente piccoli. E poi ce n’è per tutti i gusti. A partire dal romanico, con sculture lignee e splendidi affreschi (sono venuti dall’Italia ad insegnare la tecnica a strappo per trasportarli dalle loro varie sedi originali, seminate in tutta la Catalogna). Finita la sezione romanica, s’imbocca quella gotica, ma attraversando le epoche ci si imbatte nelle opere rappresentative della storia della pittura europea di due lasciti, uno il Cambó e l’altro, a noi svizzeri familiare, Thyssen-Bornemisza, Tiziano, Canaletto, Cranach, Rubens, Beato Angelico, Tiepolo, Lotto che un tempo facevano bella mostra di sé a Villa Favorita e che ora sono in prestito dal Prado di Madrid, dove è stata trasferita, come si sa, l’intera collezione antica. Un’occasione per rivederli…
Il piano superiore è invece occupato dall’arte moderna catalana, per avere un ultimo sguardo storico sulle vicende, anche belliche, di questo paese.
Domenica – La partenza
L’orario del mio treno è pomeridiano e ancora ho tempo per dedicare la mattinata allo straordinario Palau de la Música Catalana che si trova nel quartiere La Ribera. Ci ero passata davanti diverse volte, ma o troppo presto o troppo tardi e non ero mai riuscita a visitarlo, un capolavoro modernista che lascia senza fiato e, credetemi, non è un modo di dire. Niente visita guidata, voglio godermelo per conto mio. Con le sue piastrelle colorate, la fuga di colonne smaglianti della terrazza, le statue all’esterno che narrano storie su storie e all’interno sontuosità e ricerca tra le più raffinate.
Il progetto di Montaner risale ai primi del ‘900 e naturalmente il fiore all’occhiello e che “fiore”! è il lucernario, a forma di capezzolo rovesciato, dell’auditorium, “possiede un magnetismo visivo al quale è impossibile resistere”, c’è scritto sul dépliant e vi assicuro che è vero. Sul palco la scultura delle Valchirie wagneriane. Se portate i vostri bambini, coinvolgeteli con il gioco d’individuare almeno una parte delle 2000 rose e più scolpite nelle sue diverse aree. Un tempio della luce e del floreale, che trasforma questa visita in un’esperienza tra il mistico e il fantastico. Uscire è come passare da un sogno d’esplosione cromatica ad una realtà monocolore e prosaica. Ma ogni avventura ha la sua fine ed è proprio questa che, dopo tutto, la rende un’avventura.
Piove, per la prima volta da quando sono qui. E c’è anche lo sciopero totale dei taxisti che poi, saprò, vinceranno la loro battaglia contro la concorrenza spietata dei più o meno “abusivi”. Quindi mi rassegnerò a prendere il metrò per la stazione (altrimenti ci sarei pure andata a piedi). Non lontano dal mio albergo, sulla Rambla e solo sei fermate, anche abbastanza comodo. È tardi, sono quasi le 17 e godrò poco il panorama catalano dal finestrino, l’unico limite di questo viaggio invernale. La mia destinazione è Marsiglia, ci arriverò verso le nove di sera e mi fionderò nel primo albergo che trovo e in cui avrò una stanza senza problemi (non avevo prenotato). Alzataccia all’alba per proseguire il viaggio, direzione Ventimiglia, costeggiando il mare, cosa che mi fa felice, la Provenza e la Costa Azzurra, i luoghi della mia infanzia. Ma quando scendo alla città di confine ho uno shock termico: non ricordavo la Liguria così gelida, rispetto alle tiepide Barcellona e Marsiglia, ci sono almeno dieci gradi in meno e forse anche di più. Sono tornata all’inverno. E continuo verso Milano e poi cambio ancora per Lugano. Ma questa non è più storia.
Fine