Brescia, in arrivo la mostra “Opere dalle carceri turche”

Zehra Doğan, “Fatıma’nın Eli” (Fatma’s hand), 2018. Location: Diyarbakir Prison. ©Jef Rabillon.

“Gli occhi dei personaggi che disegno sono più grandi del normale. Sono estremamente aperti e grandi. Perché gli occhi sono testimoni di tutto… Parlare non basta, lo so già. Sono gli occhi dei personaggi che raccontano ogni cosa”. (Zehra Doğan)
 
Il Museo di Santa Giulia di Brescia ospita Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche, una personale dell’artista e giornalista curda Zehra Doğan. Il progetto espositivo è curato da Elettra Stamboulis e costituisce la prima mostra di impianto critico curatoriale dedicata all’opera della fondatrice dell’agenzia giornalistica femminista curda “Jinha” e sarà aperta al pubblico da sabato 16 novembre 2019 al 6 gennaio 2020. La mostra rientra all’interno del Festival della Pace, organizzato dal Comune di Brescia e dalla Provincia di Brescia.

Le sue opere sono espressioni di vicende personali intrecciate insieme a drammatici eventi politici di attualità. La rassegna raccoglie un totale di 60 opere inedite, tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista, che interessano tutto il periodo della detenzione dell’artista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, dove Zehra è stata rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista per aver postato su Twitter un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.

Ad arricchire la mostra sono le parole del suo diario, scritto durante la sua prigionia: riflessioni in cui Zehra fa riferimento a diversi artisti che, nel corso della storia, hanno manifestato il proprio dissenso senza pagarne, almeno apparentemente, le conseguenze e a quegli artisti che invece si rifiutano di prendere una posizione.
Zehra Doğan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan: il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita. In tutto questo periodo, l’artista non ha mai cessato la propria attività artistica e giornalistica, realizzando opere con materiale di recupero, collaborando con le compagne detenute nella costruzione di immagini e nella realizzazione di un giornale di bordo che documentasse la loro detenzione.

Bowery Wall, New York.

Zehra Doğan, “KUŞ KADINLAR” (Bird Women), 2019. Location: Tarsus Prison. ©Jef Rabillon.

Attraverso questo percorso espositivo si vuole raccontare la condizione altrui attraverso l’immagine e la parola… Dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto: ne emerge una amplissima gamma di strumenti e materiali, spesso legata alle particolari contingenze entro le quali le opere hanno trovato vita. Qualunque elemento tratto dal quotidiano incorre nella creazione, come il caffè, gli alimenti, il sangue mestruale o i più tradizionali pastelli e inchiostri, quando reperibili.

La mostra è resa possibile grazie all’impegno del web magazine “Kedistan” (“Il Paese dei gatti” in turco) che ha curato il salvataggio e il trasporto delle opere di Zehra Doğan dalla Turchia e che si occupa dell’archivio dell’artista; e di Associazione Mirada, partner del progetto.

Per maggiori informazioni: www.bresciamusei.com

 

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