Calabria (seconda parte)

 

Colonna superstite del Tempio di Hera Lacinia – Area archeologica di Capo Colonna, vicino a Crotone.

11 febbraio – Reggio Calabria

Prima di lasciare Vibo faccio ancora un giretto nel centro storico e passo davanti al quattrocentesco palazzo Romei che sembra totalmente in rovina, mentre il cinquecentesco palazzo Cordopatri non appare, almeno dalla facciata, in condizioni tanto migliori, ma da un nome sulla cassetta delle lettere e dalle tendine alle finestre posso dedurre che qualcuno ci vive. Entrambi raccontano un passato e un poco glorioso presente.

Vado a Reggio Calabria ed è significativo che il tassista, quando ha saputo quale treno volessi prendere, abbia commentato: «ah, va in Sicilia…», come non fosse probabile che un turista si fermi a Reggio. E vedremo anche perché.

Scendo con un regionale dalla stazione di Vibo Valentia Pizzo, qui l’Alta Velocità non è ancora arrivata, per Roma sta partendo un vecchio Intercity. Ma per me va bene così, anche se con l’infilata di gallerie che ci sono, non c’è tanto panorama da godere. Si va verso il sole, il cielo si schiarisce. La ferrovia scorre a monte, però finalmente si scoprono scorci di mare verso Palmi (che ha dato i natali al musicista Cilea e allo scrittore Repaci), prima che il treno s’incunei in qualche altro tunnel. Dopo Bagnara Calabra, spicca chiaramente il mitico sperone di Scilla. Infine, la ferrovia entra, costeggiandola, lungo la riva dello Stretto di Messina, di fronte la costa della Sicilia. Il treno ferma solo alla stazione di Reggio Lido. Eccomi alla punta del “piede”. M’infilo nel primo hotel che vedo sul lungomare. Da alcuni giorni, per vari motivi, non mi concedo un pasto decente, lì vicino c’è un ristorante dagli arredi raffinati, il palazzo che lo ospita risale ai primi del Novecento, a Reggio in genere non si va più in là. Si parla sempre e solo di Messina, ma anche qui il catastrofico terremoto del 1908 ha distrutto quasi tutto. Questa è città abbastanza grande per i parametri italiani e tutti vanno di fretta, le auto non si fermano e da pedoni occorre buttarsi decisamente se non si vuole accamparsi al passaggio pedonale. Semafori non ne ho visti.

Bronzi di Riace, Museo Archeologico Nazionale, Reggio Calabria.

Posso gustare, tra l’altro, l’autentica cassata siciliana. Sono vicina al Museo Archeologico Nazionale, tra i più importanti dell’Italia meridionale. Ci passerò l’intero pomeriggio. In questo nuovo, ordinato, luminoso allestimento non lo avevo ancora visto. Ospitato nel palazzo dal lineare monumentalismo fascista di Marcello Piacentini (1932), è rimasto chiuso alcuni anni per una ristrutturazione radicale e ha riaperto nel 2016. A pianterreno c’è anche una piccola mostra, appena inaugurata, dedicata a Boccioni che è nato proprio qui, anche se del tutto casualmente. Ma il percorso inizia dall’ultimo piano, con i reperti del paleolitico, molto ben organizzato didatticamente, narra l’evoluzione di terre e popoli, età del rame, del bronzo, del ferro. E poi da scavi, necropoli, sepolture, santuari ecco tutta una serie di manufatti e oggetti votivi o legati alla quotidianità delle genti, la Reggio ellenistica e quella romana, con i loro culti, statue, vasi, iscrizioni, preziose tavolette in terracotta e in bronzo… per terminare naturalmente con le superstar. Un filmato ci racconta tutto il possibile dei Bronzi di Riace, come sono stati scoperti (nel 1972), l’acclamata riemersione, le ipotesi sulle origini e sull’affondamento, le tournée da divi e le procedure di trasporto, i differenti restauri e studi a cui sono stati sottoposti, con tecniche, nel tempo, sempre più raffinate. Hanno una sala tutta per loro, sono posati su piedistalli a prova di sisma e il visitatore attende in un’anticamera di “decantazione”, perché ogni volta per le sculture viene eseguita una pulitura protettiva. La sosta e l’ammirazione hanno un limite di venti minuti. Ed eccoli lì, nella loro imponente, lucida, bronzea, bellezza, più di 190 metri per 160 chili. La Calabria deve molto a questi guerrieri di 2500 anni che ancora non hanno smesso di rivelarci i loro segreti. Però oggi incontro in tutto tre turisti, questa mattina, mi hanno detto, c’erano una scolaresca e un gruppo con la guida. Chissà perché riesco sempre a schivare l’affollamento. Non che mi lamenti!

 

12 febbraio – Reggio Calabria

Vista del Lungomare di Reggio Calabria.

C’è una notevole escursione termica in questo periodo. Al mattino mi accolgono un cielo imbronciato e vento, il vento marino non calerà ma l’apparire del sole farà aumentare la temperatura. Lascio il lungomare per inerpicarmi verso l’alto, aiutata anche da una serie di scale mobili, ma alcune zone appaiono piuttosto dissestate, finalmente capisco dove salire per raggiungere la chiesa di San Paolo alla Rotonda, vicino si trova il Palazzo della Cultura Pasquino Crupi, sono interessata alla collezione di icone antiche, ma non è ancora aperta e mi dicono che non si sa quando apriranno, nel frattempo posso visitare la pinacoteca frutto di un colossale recupero di quadri sequestrati al boss della ‘ndrangheta Gioacchino Campolo, un “trionfo della legalità”, è stato detto. Ci sono italiani, come Sassu, Campigli, Guidi, Carrà, Fontana, Migneco, Cascella, De Pisis, Morandi, Schifano, Guttuso, con qualche perla straniera come Dalì, ci sono anche numerosi falsi e dubbi, tra cui un Picasso su cui si sta ancora discutendo. E poi all’ultimo piano, con documenti d’epoca e immagini strazianti, oltre agli omaggi di artisti contemporanei, installazioni e performance mostrate in video, è rievocata una tragica pagina di storia dell’ultima guerra. “33 stelline”. Perché qui c’era un brefotrofio, bambini abbandonati dalle loro famiglie e quel 21 maggio del ’43 furono bombardati da aerei americani, 33 i piccoli uccisi, oltre a quattordici nutrici e una suora, la maggior parte era costituita da lattanti di pochi mesi, il più grande aveva quattro anni, se ne trova l’intero elenco. Fu un dolore immenso per tutta la città che ne mantiene vivo il ricordo attraverso questa mostra permanente.

Arrivano ad aprire le sale che riuniscono la collezione San Paolo di Mons. Francesco Gangemi, oggetti liturgici e soprattutto una preziosa serie di icone provenienti dalla Russia ma anche da Creta e altre terre di tradizione ortodossa, tra XIV e XVI secolo, vi sono varie tipologie di Madonne, Cristo, santi, profeti e feste religiose, una celebrazione di bellezza. Arriva una chiassosa scolaresca ma con quale intento didattico non si sa, visto che anche le insegnanti sembrano più occupate dal loro cellulare che a dare spiegazioni. Una toccata e fuga, in pochi minuti spariscono. Resto di nuovo sola a contemplare.

Quindi mi dirigo al castello aragonese che ha subito varie distruzioni e di cui sopravvivono due torrioni. Mi colpisce una frase: «In seguito ai lavori di restauro del 1986, una parte del castello è crollata»! Vicino si trova la chiesa degli Ottimati che ha colonne e mosaici di recupero di una precedente abbazia basiliana. Il Duomo ricostruito ha qualche elemento interessante, sepolcri, un pulpito dello scultore qui di riferimento, l’ottocentesco Jerace , ma la decorazione di palme in travertino proviene dalla vecchia Cattedrale. La maggior parte del tempo la passerò alla Pinacoteca, purtroppo non vedrò i quadri di un giovane Antonello da Messina che si trovano per studi a Roma, ma mi consolerò con Mattia Preti, Luca Giordano, gli stupendi paesaggi del reggino Giuseppe Benassai, ingiustamente poco noto fuori dai confini regionali, altri ambienti naturalistici attribuiti a Salvator Rosa… E diversi moderni. La signora che mi fa da guida si sfoga sulla situazione, personale precario, lei solo dopo più di vent’anni ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato. Immobilismo e sprechi, nonostante inutili dichiarazioni politiche. Qui gli stranieri in visita sono soprattutto tedeschi, ma è un “mordi e fuggi” senza neanche il “mordi”, a Reggio non dormono né mangiano, pretendono di vedere tutto in un paio d’ore, la Pinacoteca in dieci minuti. Certo che fa male a chi vive qui e ci tiene. Sono giunti dei tour operator dalla Germania, invitati, spesati, ma poi non si sono stabiliti accordi su scambi turistici, anche ovviamente per l’ignavia delle autorità locali. Reggio resta così fuori dal mondo, serve giusto come scalo per la Sicilia.

Scendo sull’esteso Lungomare, la città è formata da erte vie verticali che s’incrociano con parallele orizzontali… Una gelateria è stata proclamata nel 2016 la migliore d’Italia. Buono il prodotto, ma non straordinario. Arrivo fino alla Stazione Centrale, da dove ripartirò domani, rasentando palazzi, alberi e piante anche rari, giardini e aree archeologiche, le mura greche della fondazione e le terme, dall’altra parte mi accompagna il profilo della Sicilia. Al ritorno proseguirò fino al porto, in parte blindato, in parte disordinato cantiere. Il tempo è cambiato, si è di nuovo rannuvolato, il vento, freddo, rafforzato.

 

13 febbraio – Catanzaro

Il trenino delle Ferrovie della Calabria.

Sono in viaggio per Catanzaro, più piccola, meno popolata, ma è questo il capoluogo della Regione anche se le sedi amministrative si trovano a Reggio. Per poter risalire la costa jonica scenderò a Catanzaro Lido (altrimenti per raggiungere la città avrei dovuto tornare a Lamezia Terme e percorrere il tratto interno, trasversalmente). Intanto dal finestrino del regionale mi godo il panorama. Qui il mare è quasi sempre a vista e il territorio fa fede alla sua fama di costa soleggiata; usciti dallo Stretto di Messina, ci abbandona il profilo della Sicilia. Il trenino, due scompartimenti appena, fa il giro del “piede”, dall’altra parte le dorsali dell’Aspromonte, ma attraverso il vetro che guarda ad Est, si respira aria di primavera precoce, con prati punteggiati dai fiorellini gialli dell’acetosella e, lungo la ferrovia, agavi e fichi d’India, vivacizzano anche uliveti e agrumeti (il famoso bergamotto). Si toccano luoghi intrisi di evocazioni storiche, Mélito di Porto Salvo dove Garibaldi sbarcò due volte, la seconda per intraprendere la marcia del famoso ferimento. Spiagge bellissime, distese ordinate e pulite, lungo la Costa dei Gelsomini, un po’ meno dopo Brancaleone. Porticcioli e fiumare. E il Golfo di Squillace, pericolosamente ventoso. Eccomi a Catanzaro Lido, pochi passi e raggiungo la Stazione della Ferrovia della Calabria che sembra un rudere di campagna, il trenino che arriva è pieno di graffiti sulle fiancate. A cremagliera in questo tratto, Catanzaro Lido – Catanzaro Città, deve superare una pendenza di oltre il 100 per 1000, in mezzoretta arriva a 338 metri. Insieme alla tranvia Sasso Superga di Torino è l’unica cremagliera Strub rimasta in Italia. Questa linea poi prosegue a scartamento ridotto fino a Cosenza. Il paesaggio, affondando nella campagna, nella vallata, tra gli uliveti, è affascinante. Ma è ancora viva nella gente del luogo la memoria del tragico incidente del 1961, quando per il deragliamento il rimorchio precipitò dal viadotto, 71 i morti, quasi tutti studenti, una generazione spazzata via commenta l’addetto al ricevimento del mio albergo, una persona colta e informata. Il traffico ferroviario fu interrotto per alcuni anni, condannato il macchinista a cui venne imputata una velocità eccessiva.

Il viadotto Morandi di Catanzaro.

Il tempo di sistemarmi e sono già pronta per la mia perlustrazione: c’è un punto panoramico sulla valle e sull’ardito viadotto, non quello dell’incidente, un altro ma c’è il suo nome a farlo suonare in qualche modo sinistro oggi, essendo stato realizzato da Riccardo Morandi, mi dicono che stanno facendo dei lavori. Passeggiando su Corso Mazzini m’imbatto in chiese e palazzi storici, il tutto ben segnalato e descritto dalle schede cittadine. Ad esempio il Convitto Galluppi che ebbe tra i suoi allievi Corrado Alvaro e tra i suoi insegnanti Luigi Settembrini. E poi, di fronte al curioso palazzo Fazzari, costruito nell’Ottocento ma ispirandosi ai modelli fiorentini quattrocenteschi, c’è quello che un tempo fu un albergo e una targa marmorea ricorda l’episodio che vede intrecciarsi lo scrittore e viaggiatore ottocentesco George Gissing (che da queste parti ha un ruolo speciale avendo scritto il libro By the Ionian Sea), Flaiano e la “Dolce vita”. Una storia che ben conosco, essendo il libro di Gissing nella biblioteca dello sceneggiatore di Fellini, portata a Lugano dalla vedova Rosetta. Nel suo libro Gissing fa riferimento all’albergatore che lo ospitò: Coriolano Paparazzo. E Flaiano era proprio alla ricerca di un nome da dare al fotografo del film, quel nome che poi è diventato antonomastico! Come il mondo gira su se stesso… Prima di sera faccio ancora una rapida visita alla Chiesa del Rosario, che ho speranza venga aperta, attendo insieme a due musicisti e una cantante che devono provare. Arriva il parroco e ne approfitto per dare un’occhiata ad alcuni quadri. Ai musei penserò domani. Finisco il giro con i romantici giardini di Villa Trieste. Una delle tre “V” per cui è famosa Catanzaro riguarda il vento, ma oggi non ce n’è un alito, era più ventosa Reggio, al tramonto fa freschino. Le altre due “V”? Vitaliano, il Santo patrono e velluto, il prodotto per eccellenza della locale arte che nel passato la rese ricca e celebre, grazie ai commerci degli ebrei: furono loro ad insegnare ai catanzaresi il mestiere di setaioli. In quasi ognuna di queste città c’è una via o un quartiere Giudecca.

 

14 febbraio – Catanzaro

I giardini di Villa Trieste, Catanzaro.

Oggi giornata dei Musei, innanzitutto il Museo Civico, nei giardini di Villa Trieste, vicino al mio albergo, piccolo ma davvero interessante con la collezione ottocentesca di Giuseppe Foderaro, reperti rinvenuti nei territori dei dintorni una grande quantità di asce in pietra levigata, rifinite, ma soprattutto è assolutamente notevole la raccolta di monete, 8000 tra greche, romane, dei Bruttii, medievali e delle dominazioni successive, sveve e normanne. Minuscole e più grandi secondo il valore, le rappresentazioni figurative ci raccontano dell’arte, delle credenze mitiche e celebrative, insomma restituiscono la storia.

Divagazione: il centro storico di Catanzaro è decisamente infestato dalle auto, quelle posteggiate che costringono a camminare in mezzo alla strada e quelle che percorrono a tutta velocità anche i vicoli più stretti, il colmo lo ha raggiunto quel guidatore che ha clacsonato mentre attraversavo le strisce pedonali, gli avrei tirato un bergamotto, se l’avessi avuto!

Vicino alla chiesa di San Giovanni Battista si trova un complesso espositivo che adesso propone un itinerario multimediale, con quadri e filmati, nel Barocco romano di Bernini, dalle opere di Palazzo Chigi in Ariccia: “Il trionfo delle meraviglie”, qualche opera di Bernini e di maestri e allievi del periodo. Un altro piano è dedicato al nipote omonimo di Andrea Cefaly.

Il MARCA – Museo delle Arti di Catanzaro presenta una serie di dipinti di pittori locali e i cui nomi ricorrono un po’ ovunque nella regione, come Mattia Preti, massimo esponente e Andrea Cefaly, il nonno ottocentesco e una serie di sculture di Francesco Jerace. Un piano è dedicato a mostre temporanee di contemporanei, in questo caso il lucano Massimiliano Pelletti che rivisita a modo suo la classicità.

Stanno per chiudere. Nessun museo fa orario continuato, nemmeno d’estate quando riaprono nel pomeriggio anche più tardi. Faccio una veloce pausa pranzo ma il tempo è cambiato, tira un vento impetuoso e in più ha iniziato a piovere. Il peggio del peggio, ma come una ostinata turista inglese, mi dirigo verso la cima della città dove si trova il Parco della Biodiversità Mediterranea che contiene anche quello delle sculture con ventidue opere di artisti come Tony Cragg, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Lorenzo Quinn. Non certo il tempo ideale per ammirarlo. Ospita anche il MUSMI – Museo Storico Militare ma apre alle 16 e manca ancora un’ora. Trovo una porta aperta e da clandestina m’infilo ne palazzo di fronte, sede di un gruppo cinofilo! In attesa. Poi entro appena aprono. Interessante il percorso del museo militare che, dal periodo napoleonico al Risorgimento, alle due guerre mondiali, offre una dovizia di divise, armi, oggetti, anche una ghigliottina calabrese, ricostruzioni come quella di una tenebrosa trincea sonorizzata con rumori bellici, memorie documentaristiche e fotografiche, modellini di battaglie in cui i francesi sono stati sconfitti dagli inglesi come la celebre Waterloo o la fulminante e locale Maida (1806), con quella “linea” inglese  diventata un modello strategico di battaglia. Se andate a Londra e vi imbattete nel quartiere residenziale Maida Vale, saprete da dove deriva. Piove a dirotto, mi rassegno a prendere un bus per tornare.

 

15 febbraio – Crotone

Spiaggia di Crotone.

Un bellissimo sorgere del sole contemplo dalla finestra della mia stanza. Qui il tempo cambia in fretta. Diversamente da altre città Catanzaro è molto animata il sabato mattina, lascio l’albergo per fare una foto alla targa di Gissing (v. sopra): ero rimasta così stupefatta ieri, che me n’ero dimenticata… e poi mi dirigo alla Chiesa dell’Osservanza che faccio fatica a trovare nascosta com’è dalle auto parcheggiate. È chiusa, naturalmente, non vedrò i pregiati crocefisso con il Cristo schiodato e la statua della Madonna del Gelsomino. Mi preparo a fare il viaggio di ritorno con il trenino a cremagliera che scende attraversando l’assolata vallata. Stanno facendo dei lavori per raddoppiare il binario. Quattro chiacchiere con una passeggera: «tanto non cambia nulla», per questo la gente in maggioranza non va a votare. Trasmettere questo senso d’impotenza nella popolazione, è il modo migliore per governare, da queste parti, evidentemente. Passo all’altra stazione, il regionale attraversa la campagna, il verde degli alberi e delle coltivazioni e le macchie gialle dell’infestante acetosella, la ferrovia si mantiene lontana dal mare. Vallate, fiumare. E in circa un’ora e quaranta si è a Crotone.

Crotone, città dal glorioso passato greco, un faro nel VI e V secolo a. C. di ricchezza, commerci, donne bellissime, uomini d’ingegno come Pitagora e di brillante e atletico fisico, come gli antichi olimpionici, a partire dal lottatore Milone (che vinse gli agoni ininterrottamente, con una sola eccezione, dal 540 al 512 a.C.) , oggi unico porto della costa calabra. Solo ricordi? Poco resta, venti secoli di abbandono, di terremoti, di saccheggi… Come si legge in una notizia degli scavi.

Area archeologica di Capo Colonna.

La trovo decisamente appassita e sonnolenta, «non è stagione», dicono, dormono le imbarcazioni nel porto deserto. Pochi locali aperti, il Castello di Carlo V domina come un drago a riposo, chiuso anch’esso con il suo museo, vivaci solo i gatti dei giardini. Almeno posso visitare il Museo Archeologico Nazionale, lì vicino, che mette in mostra reperti e tesori scoperti negli scavi e in ripostigli misteriosi, monete e gioielli, spicca il raffinatissimo e divino diadema d’oro del santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna, molti sono i frammenti, ma le schede danno una dovizia di particolari. Nel frattempo ha aperto il Duomo dove si trova un fonte battesimale del 1300 e la tavola bizantina della Madonna Nera, portata dall’Oriente nei primi anni del Cristianesimo, stupenda per dolcezza e serenità. A maggio va in processione a piedi (11 chilometri) fino alla chiesetta di Capo Colonna, ci mettono tutta la notte. C’è molto vento come capita spesso nelle zone di mare. Il mio albergo, Concordia, ridotto oggi ad un’intristita via di mezzo tra hotel e B&B, ospitò gli scrittori George Gissing, già citato, Norman Douglas (autore di Vecchia Calabria) e lo studioso della Magna Grecia, il francese François Lénormant a cui si ispirarono gli altri due autori che percorsero lo stesso itinerario nell’Italia del Sud. Ci sono voluti anni di dibattiti ma nel 2002 all’entrata dell’edificio è stata posta una targa in memoria di queste prestigiose presenze, non a cura della città ma del Rotary. Ancora ci sono la stessa scala di accesso e il lungo corridoio sul quale si affacciano le porte delle stanze, descritti in Sulle rive dello Ionio.

 

16 febbraio – Crotone

Il Monumento a Rino Gaetano, Crotone.

Sull’animato Lungomare domenicale pannelli rievocano le glorie greche e basta leggere il decalogo della giornata dei pitagorici, riportato dal filosofo Giamblico, per capire che non sarebbe male tornare a quegli insegnamenti. Al mattino passeggiate solitarie perché «consideravano fonte di turbamento mischiarsi alla folla appena alzati», in seguito si dedicavano all’istruzione, poi alla cura del corpo e agli esercizi fisici. Nel pomeriggio si tornava a passeggiare ma in gruppo per discutere quanto appreso. La cena era sobria e salutare, quindi spazio alla lettura…

Poco più in là, nella piazzetta omonima, una statua in ricordo del cantautore Rino Gaetano, molto amato da queste parti e mai dimenticato. Percorro la passeggiata chilometrica fino a dove è possibile, poi è sbarrata, per continuare bisognerebbe camminare in mezzo alla strada, non che avessi intenzione di arrivare a Capo Colonna a piedi, però giungo a vedere alla mia destra le pendici collinari orientali del massiccio silano. Torno indietro, vedo una mimosa già fiorita; il Lungomare adesso è affollatissimo, coriandoli, mercatini, e piccoli clown, cani, orsetti, fatine, principesse, spagnole, diavoletti, piloti di Formula Uno, poliziotti, supereroi, persino soldatini in tuta mimetica e mitra… È iniziato il carnevale.

Una trattoria offre degustazione dei piatti tipici calabresi, trovo tutto davvero gustoso e anche leggero, polpette dalla forma affusolata, pasticci di pasta, verdure cotte e saporite, formaggi. Sarebbe un antipasto, per me è più che un pranzo.

Il prezioso diadema al Museo Archeologico di Crotone.

Di domenica non funzionano né treni regionali né bus, altro che turismo lento! Altro che turismo, direi. Mi reco con un taxi a Capo Colonna, la “finisterre” di Crotone. Una camminata nel parco archeologico, dove c’era l’area sacra, il bosco, il tempio dedicato a Hera Lacinia, distrutto anche perché i materiali sono stati utilizzati per realizzare il porto, se ne dolse nel ‘700 Johann Hermann von Riedsel. Un luogo che ha affascinato fin dall’antichità e anche dopo, artisti e studiosi. E infatti trasmette magnetismo e sentimento del tempo, in particolare, quella colonna dorica rimasta solitaria vedetta e simbolo del passato; camminando lungo il sentiero, tra le rovine, con di fronte l’immutato orizzonte marino, non si fa fatica a riemergersi nella lontana curva temporale. Il Centro visitatori, che non fa orario continuato, sta giusto riaprendo, al suo interno un piccolo museo allestito soprattutto in chiave didattica, gli oggetti votivi e decorativi più preziosi appartenuti al tempio sono qui mostrati in fotografia e io li ho già visti al Museo Archeologico Nazionale di Crotone, come il diadema. Una parte è riservata ai ritrovamenti subacquei. La storia, i materiali, l’arte e la vita, dai Greci ai Romani, sono ben contestualizzati.

Tornata faccio ancora un giretto nel centro storico, c’è chi si lamenta della sporcizia, sembra tutto così immobile, rassegnazione e rabbia si alternano tra la gente, anche nella proprietaria del mio alloggio, c’è crisi e chi può se ne va. Storie antiche, storie che si ripetono.

 

17 febbraio – Sulla via del ritorno

All’arrivo ero di fretta, ma adesso sono in anticipo alla stazione di Crotone, inaugurata nel 1874, e posso leggere con calma due targhe commemorative. Una ricorda le dodici vittime dell’incidente ferroviario del 1989; l’altra, le personalità illustri che passarono di qui: Garibaldi (1882) e il solito terzetto, l’archeologo Lénormant (1879), Gissing (1897), Douglas (1911). Questa targa è stata posta da Italia Nostra il 6 marzo del 2011, in occasione della IV Giornata delle Ferrovie Dimenticate. Ferrovie Dimenticate? Questa mi mancava. In effetti, non c’è più nemmeno la biglietteria, il freddo linguaggio burocratico afferma che è “disabilitata”. Io il biglietto lo avevo acquistato a Catanzaro. Sono in attesa di prendere un Intercity per Taranto, dove cambierò diretta a Bari. In serata prenderò il vagone letto per Milano. È diventata quasi una pratica abitudine.

I binari procedono zigzagando un po’ all’interno, nella campagna, in giallo e varie sfumature di verde, un po’ costeggiando il blu intenso, calmo e magnetico dello Jonio. Le spiagge però mi sembrano poco curate. Dopo Sibari, solo un nome, non il luogo dell’originaria, salendo, con l’inizio del Golfo di Taranto, a sinistra, si vedono sullo sfondo le montagne del gruppo del Pollino. Si entra in Basilicata e poi in Puglia, per un pezzo non si vede più il mare, nel tratto finale si scende sul golfo. Tre ore ed eccomi a Taranto addirittura con cinque minuti di anticipo, come proclama orgogliosamente l’annuncio. Una mezzoretta di attesa e prendo un regionale per Bari, un’ora e mezza. Un percorso che avevo compiuto in senso inverso nel corso del mio itinerario pugliese di novembre. Quindi il mio racconto finisce qui. Buon viaggio a tutti, a chi parte e a chi torna.

Calabria, seconda parte. Fine.

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