A Dalla voce di Francesca al “sì” di Maria: viaggio nella Commedia per comprendere il nostro presente

Lucilla Giagnoni. © Migliavacca

“Allora mi è venuta un’idea, una di quelle idee che ti impediscono di prendere sonno: sono uscita dalla portavetri della cucina, ho guardato il buio tutt’intorno; mi sono sporta un po’ di più, in silenzio, per ascoltare; ho appoggiato il piede nudo sulla terra fredda, poi ho visto il cielo aperto ed ecco, su un cavallo bianco, Colui che è Fedele e Vero, e che porta scritto un nome che nessuno di noi conosce: il suo nome è Verbo di Dio, Re dei Re e Signore dei Signori”. La Divina Commedia di Lucilla Giagnoni, nello spettacolo “Vergine Madre”, messo online sui canali del Teatro di Locarno lo scorso mercoledì, è magia pura: rovesciamento apocalittico, insaporito del fascino del trascendente proposto con acume; profezia, oggi come allora, portata sul palco per leggere il presente alla luce del passato e dei segni che ci sta dando.

I toni apocalittici sono giustificati con una profezia vedica di grande fascino: già 3500 anni fa – spiega Giagnoni – i Veda raccontavano infatti che quando Dio si sta per “addormentare”, “abbassando” le sue palpebre, chiudendo i suoi occhi sul mondo – può esistere immagine più drammatica? –  finisce un’epoca. Le età della terra sarebbero conseguentemente quattro: quella dell’oro – della perfezione, del paradiso, in cui gli uomini erano dei – poi, in un lento e inesorabile degenerare, l’età dell’argento, quindi quella del bronzo, infine quella del ferro; quest’ultimo è proprio il periodo che stiamo vivendo anche noi oggi, in attesa che Dio abbia chiuso del tutto i suoi occhi. Siamo anche nell’epoca in cui l’essere umano ha raggiunto il punto massimo di distanza dalla sua natura divina, tempo di grandi angosce, epoca dominata dal conflitto, dallo scontro tra la natura e gli uomini. Tutti contro tutti.

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