Documenti orali della Svizzera italiana: Presentazione del 6. volume – Val Colla e sponda sinistra del Cassarate

Nella collana Documenti orali della Svizzera italiana, edita dal Centro di dialettologia e di etnografia (CDE) e curata da Nicola Arigoni e Mario Vicari, esce ora il sesto volume riservato ai dialetti della Val Colla e sponda sinistra del Cassarate (DOSI 6), in coedizione con l’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla (ACVC).
Il volume sarà presentato sabato 11 maggio 2019, alle ore 17.00, a Maglio di Colla presso la palestra comunale.

Indagini a tappeto

I materiali sono tratti da 58 interviste per un totale di 77 ore d’ascolto, effettuate tra il 1981 e il 2015 in tutti gli ex comuni della regione e nelle sue principali frazioni. Vi sono stati coinvolti 69 informatori di età fra i 60 e i 100 anni. Esprimendosi al microfono in forma di parlato spontaneo nei loro dialetti nativi, essi hanno consegnato all’Archivio delle fonti orali del CDE e all’ACVC un patrimonio etnografico costituito di racconti di vita e di notizie su attività e tradizioni del passato. L’urgenza delle indagini è purtroppo convalidata dall’elevato numero di persone interpellate che ci hanno lasciati prima di essere venute a conoscenza dei risultati dei loro apporti.

Da ascoltare e da leggere

Sul CD audio sono riportati 28 brani ricavati dalle registrazioni originali, che possono essere sia ascoltati, sia letti in trascrizione dialettale e in traduzione italiana nelle pagine a stampa.
Il volume si apre con una sezione introduttiva di nove capitoli, dedicati a un profilo storico-geografico e demografico, a indicazioni sulla raccolta e l’elaborazione dei materiali, a considerazioni etnografiche e linguistiche e a una disamina puntuale dei tratti specifici delle parlate dialettali dell’intera area considerata in DOSI 5 e 6.
La sezione centrale, di oltre 200 pagine, riunisce le riproduzioni dei brani, seguite da note esplicative e da schede etnografiche corredate di illustrazioni.
Il volume è arricchito da oltre 100 immagini d’epoca provenienti dall’ACVC, che descrivono i temi affrontati portando il lettore al tempo di cui parlano gli intervistati. A queste si aggiungono fotografie che raffigurano luoghi e manufatti.
La sezione conclusiva consta di un’appendice con i dati delle inchieste, la bibliografia, l’indice delle voci commentate e una cartina topografica contenente alcuni nomi di luogo citati.

Un dialetto che cambia

Il lessico non è unicamente formato da parole antiche, ma pure da parole che negli anni sono entrate a far parte del sentire comune attraverso svariati canali, quale quello dell’emigrazione. In Val Colla gli emigranti in terre anglofone al loro rientro in patria si esprimevano con numerosi anglicismi, come ci hanno testimoniato, tra gli altri, Arnoldo Moresi di Signora e Aurelio Moresi di Cozzo. Soprattutto nei luoghi di ritrovo della valle, come i ristoranti, negli anni scorsi non era raro sentire parole inglesi sulle bocche di molte persone; oltre alle parole anche alcune abitudini sono entrate a far parte della quotidianità: ad esempio era consuetudine festeggiare il Thanksgiving, la festa del ringraziamento americano, ritrovandosi per un banchetto a gustare il tradizionale tacchino. Nei casi registrati in Val Colla si tratta perlopiù di prestiti, dal momento che la forma esteriore della parola è riprodotta o in modo integrale o adattandola alle strutture fonomorfologiche della lingua. Tra le parole radicatesi nella mente degli informatori ricorrenti sono i termini ingiuriosi e le imprecazioni: sanababicc ‘mascalzone, furfante’, dall’inglese son of a bitch; gad dèm, lett. ‘che dio sia dannato’, dall’inglese d’America goddam ‘dannato, maledetto’; blédi ‘maledetto, della malora’, usato come rafforzativo in epiteti infamanti, dall’inglese bloody ‘maledetto, della malora’. Inoltre si sono registrati in parlato spontaneo da discendenti di emigranti vocaboli di uso comune, quali cáuntri, dall’ingl. country ‘campagna’, farmers, dall’ingl. farmer ‘fattore, contadino’, strimbizz, dall’ingl. string bean ‘fagiolini’, saiuòcch, dall’ingl. sidewalk ‘marciapiede’.
Un caso analogo è quello che emerge dal testo di Sonvico dedicato al lavoro di imbianchino nella Parigi di primo Novecento; l’informatore, emigrato nella capitale francese, ancora negli anni Ottanta del secolo scorso si esprimeva con un dialetto fortemente caratterizzato da forestierismi. Anche per Sonvico si segnalano alcuni prestiti (a volte sotto forma di tecnicismi relativi al lavoro di imbianchino): curètt, dal fr. courette s.f. ‘cortiletto’, closciár, dal fr. clochard ‘barbone, vagabondo’, sciafodásg, dal fr. échafaudage ‘impalcatura, ponteggio’, arondissaménte, adattato al dial. (come evidenziato dalla voc. d’uscita -e) dal fr. arrondissement ‘circoscrizione amministrativa’, grapín, dal fr. grappin ‘rampino’, marciava mía gnamò i lavór con marciava dal fr. marcher nell’accezione di ‘andare bene’.

Un mestiere e una lingua scomparsa

Nel volume il gergo dei calderai ambulanti (magnani), utilizzato all’esterno della valle durante le peregrinazioni lavorative nell’Italia settentrionale, è argomento di due brani – uno registrato con informatori locali, l’altro con informatori di Cavargna – e i relativi commenti sono l’occasione per un’analisi lessicale e sociolinguistica del rügín della Val Colla e del rungín della Val Cavargna.
Abbiamo incontrato in totale cinque persone che hanno potuto dare ragguagli intorno al gergo (tre tra alta Capriasca e Val Colla e due a Cavargna). Nessuno degli informatori ticinesi ha svolto il lavoro di magnano e ciò limita la loro esperienza in tale ambito a una conoscenza indiretta. Il rügín in Val Colla non era conosciuto solamente dai magnani, ma anche da un’ampia fetta della popolazione. Dalle informazioni fornite dagli intervistati si deduce che il gergo era una lingua supplementare, utile in alcuni casi particolari non compresi nel canonico uso di lingua criptica di mestiere, cosicchè l’abbandono del mestiere di calderaio ambulante – avvenuto a partire dall’inizio del xx secolo – non ha portato alla perdita totale della conoscenza del gergo e del suo uso in ambiti particolari. A questo proposito, nelle interviste abbiamo potuto testimoniare l’impiego del rügín tra contrabbandieri della Val Cavargna e della Val Colla per non farsi comprendere dalle guardie di finanza. O ancora si ricorda lo scambio da parte delle donne di Corticiasca di alcune battute in gergo all’arrivo in paese del sensale di bestiame per meglio negoziare sul prezzo. L’uso ludico è documentato in particolari occasioni quali il carnevale, momento in cui accadeva di utilizzare il gergo per riferirsi a qualche ragazza senza essere intesi; un informatore di Scareglia ricorda inoltre che quando il maestro si addormentava in classe i ragazzi tra loro lo schernivano dicendosi, in gergo, al cóbia el bér (= dorme il forestiero). L’usanza di declamare testi gergali in occasioni speciali è attestata per quel che riguarda i matrimoni o altri avvenimenti particolari: ad esempio quando, alla fine degli anni Trenta, il consigliere federale Philipp Etter giunse in valle per inaugurare un tratto di strada appena concluso, il magnano Giovanni Fraschetti (1858-1943) gli rivolse un saluto in rügín. Nel secondo etnotesto di DOSI 6, che ha per argomento il mestiere di falciatore ambulante dalla Val Cavargna alla Capriasca, gli informatori cavargnoni ricordano di come loro stessi si scambiassero battute in rungín per non farsi capire dai capriaschesi.

La donna: “anello forte” della società valcollina

Prendendo in prestito la metafora che caratterizza il titolo di un libro di Nuto Revelli, possiamo descrivere la donna che emerge dalle interviste come “l’anello forte” della società di un tempo (da: Revelli N. 1998 L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, Torino, Einaudi, prima edizione: 1985). In un’epoca in cui gli uomini e i mariti erano via per il mondo a lavorare, le donne rimanevano a casa, impegnandosi a sostenere la famiglia e occupandosi di varie mansioni utili al paese. Non è quindi un caso se in Val Colla e sulla sponda sinistra del Cassarate (ma il discorso vale anche per la Capriasca) abbiamo intervistato un numero maggiore di donne, tre quinti circa del totale degli informatori. In questo volume le loro voci trattano di vari temi, legati soprattutto al filone lavorativo. Gran parte delle intervistate svolgeva un’attività lavorativa che – al di là della cura quotidiana del bestiame – le occupava in piccole o grandi fabbriche del Luganese, attive soprattutto nel settore tessile. Oltre a queste trasferte quotidiane per recarsi al lavoro, c’erano da mettere in conto quelle settimanali, compiute a volte interamente a piedi, per scendere al mercato di Lugano a vendere merce stagionale, come funghi, mirtilli, prodotti ortofrutticoli e fiori colti sul posto.
A sé stanno tre testi che sviluppano argomenti legati alla pastorizia e alle attività contadine, anche queste mansioni svolte generalmente dalle donne. L’incombenza della gestione dei pochi – per tutto l’arco dell’anno – o dei molti – d’estate – capi di bestiame prevedeva gli spostamenti al pascolo e la custodia e il rientro nelle stalle; vacche e capre erano tenute soprattutto per il latte che producevano, mentre le pecore erano allevate per la lana.
Ha destato sorpresa venire a conoscenza del ruolo centrale della donna nell’attività di contrabbando; distintosi come un argomento cardine durante la raccolta delle interviste ed esercitato anche dagli uomini, è stato però sufficiente accennarvi perché pure le donne ne parlassero diffusamente. I tre etnotesti qui riportati, tutti con protagoniste femminili, affrontano vari aspetti legati al commercio illegale di prodotti tra Italia e Svizzera. Si va dall’episodio inerente alla difficoltà e alla pericolosità del contrabbando invernale, narrato nel testo di Bogno, ai sotterfugi messi in atto per evitare gli sgradevoli incontri con le intransigenti guardie di confine e per nascondere i prodotti contrabbandati, raccontati dalle due informatrici di Certara, fino al rapporto a volte conflittuale con le guardie al centro dell’etnotesto di Villa Luganese. I racconti coprono un arco temporale che va dai primi decenni fino agli anni Sessanta del secolo scorso, intrecciando gli aspetti legati alla qualità della merce, agli espedienti utilizzati per far giungere a buon fine le spedizioni e ai ricordi di episodi particolari. Praticato soprattutto tra la Val Cavargna e la Val Colla, ha avuto per oltre un cinquantennio un ruolo determinante nella vita quotidiana di molte famiglie, garantendo loro una maggior stabilità economica, unita però al pericolo e al timore di essere scoperti.
L’impressione ricavata dai colloqui con gli informatori della Val Colla è che in valle vi fosse una minor agiatezza economica rispetto alla Capriasca e alla sponda sinistra del Cassarate, protrattasi fin verso il secondo dopoguerra. Anche per questo motivo l’incentivo agli spostamenti, interni alla regione e verso l’estero, è stato maggiore, così come il ricorso al contrabbando si è rivelato necessario per il sostentamento familiare.

Documenti orali della Svizzera italiana 6

Capriasca, Val Colla e sponda sinistra del Cassarate.
Seconda parte – Val Colla e sponda sinistra del Cassarate

Testimonianze dialettali di Insone, Scareglia, Signora, Cozzo, Colla, Bogno, Certara, Piandera, Cimadera, Sonvico, Dino, Cadro, Villa Luganese, Davesco, Brè, Cavargna raccolte, trascritte e commentate da Nicola Arigoni e Mario Vicari.
Volume di 312 pagine e 110 illustrazioni con CD audio, Bellinzona, 2019; CHF 48.–

Distribuzione:

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6501 Bellinzona
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