Emanuele Santoro, un dolente e stralunato Moscarda

Evviva i piccoli, si può dire di questi tempi. Mentre le grandi manifestazioni dai nomi altisonanti cadono come birilli, l’intimità dei numeri resiste, così la rassegna Home del Teatro Foce che va in scena a sedie distanziate, poco pubblico ma poi non così ridotto come ci si sarebbe potuti aspettare. Ieri il debutto della nuova produzione di Emanuele Santoro, già lui, da solo, l’Uno nessuno e centomila del titolo, visto che firma adattamento, scenografia, interpretazione, regia, con l’assistenza di Antonella Barrera. Un impegno non da poco, considerando la complessità testuale di questo caposaldo della letteratura, il manifesto filosofico della poetica pirandelliana, i cui concetti semplificati sono entrati nell’uso corrente, proverbiale, popolare; fin dalla scuola lo si conosce ma è bene dargli un’articolazione monologante, ricca di sfumature verbali, mimiche, gestuali, come in questo caso. Perché al di là di ciò che può essere diventato uno stereotipo, esiste un caso di reale sofferenza umana che solo un assoluto annientamento è in grado in qualche modo di redimere.

Intanto la scenografia che sembra ovvia, ma bisogna pensarci e, come sempre, Santoro ha delle idee che colpiscono nel segno. Tante teste, una quarantina, volti anonimi e astratti, da manichini surreali, che pendono, alcuni posati o ammucchiati sul palco. Il personaggio ne è circondato e vi interagisce, quel Moscarda che ha da ridire anche sul suo nome oltre che sul suo viso ad iniziare dal naso. Un giorno scopre, per caso, guardandosi allo specchio, la verità, di non essere più lui, di non possedere una identità certa, sicura e oggettiva. Dal confronto, prima con la moglie che è la persona a lui più vicina, poi con gli altri rappresentanti della società, si rende conto che ognuno si è creato il suo Moscarda, portando alla frantumazione della personalità in una reificante molteplicità. Da questo disorientamento nasce la sua ribellione, non volendo riconoscersi nello sguardo straniante degli altri, decide di smentire quelle che considera delle falsificazioni e di presentare un’altra immagine di sé, nella ricerca di un’autenticità, con il risultato che la moglie lo lascia e gli altri arriveranno a giudicarlo un pazzo, uno che non si comporta più in modo normale, cioè con quella prevedibilità che loro gli avevano attribuita. L’unico modo per tirarsene fuori è uscire dal sistema, liberandosi di tutti e di tutto, l’avere in particolare, per diventare piuttosto nessuno, assimilarsi alla natura ad esempio, spersonalizzarsi. Estraneo a se stesso e agli altri, però non potrà uscire da questa aporia, perché l’essere umano è condannato a identificarsi con un personaggio che si perde nelle diverse interpretazioni ed anche il nulla, il “nessuno” è una tra le tante. Di fronte all’attuale dilagare mediatico e “social”, al chiacchiericcio che sommerge ogni concetto, qualsiasi fatto, azione e figura, sperperandoli spesso in una moltitudine di pareri e opinioni che portano all’annullamento di verità e ragione, di fronte a pseudo racconti e false immagini per cui nessuno è mai ciò che è, il messaggio pirandelliano non può che confermare la sua lucida e sempre illuminante visione.

Santoro è un Moscarda dolente e stralunato che rievoca, già da sconfitto, il processo che lo ha spinto a quella condizione, fa nascere, nei passaggi di toni, il movimento dialettico con gli altri personaggi e con i lettori-spettatori simbolicamente interpellati, in maniera naturale e nel medesimo tempo icastica. Un’ora e mezza di riflessione necessaria.

Si replica al Teatro Foce di Lugano questa sera, ore 20.30 e domani, ore 18; al Teatro Paravento di Locarno il 14 alle 19 e il 15 alle 17; al Cortile di Viganello dal 25 al 29 marzo, me-sa ore 20.45, domenica ore 17.

Manuela Camponovo

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