Eugenio Montale, tra poesia e… musica

Tu sola sapevi che il moto
non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno
è la più diffusa delle nubi.

(Eugenio Montale)

«Come ci insegnava Ezio Raimondi, che è stato mio maestro, le parole della letteratura hanno un volto, ci propongono personalità forti, che possono servire a istituzioni culturali come il servizio pubblico radiotelevisivo o l’Università ad adempiere fedelmente al loro compito: aiutare i giovani a trovare la loro identità, ciò che li rende autentici». Esordisce con queste significative parole Stefano Prandi, Direttore dell’Istituto di Studi italiani dell’Università della Svizzera italiana che, in collaborazione con Rete Due, ripropone a partire da questo semestre il ciclo di incontri “Archivi del Novecento”, ovvero la rilettura di alcuni dei più grandi autori del Novecento italiano attraverso il materiale filmico delle teche RSI, commentato di volta in volta da studiosi e professori.

Eugenio Montale

Ieri sera, 27 febbraio, ad inaugurare il ciclo il professore e scrittore Fabio Pusterla, che ha cercato di far rivivere il vero Eugenio Montale. Infatti, come ha subito spiegato, dalle interviste il poeta «sembrerebbe scontroso: parla poco, male e a stento, a tratti con delle smorfie. Se poi gli si chiede della sua poesia, evita il discorso». E allora il gioco sta proprio lì: a fronte del suo tentativo di «depistare i critici» (come diceva lui stesso), bisogna imparare a carpire informazioni sulla sua poesia e la sua poetica quando in apparenza sta parlando di altro, magari le sue passioni, come la pittura o, meglio ancora, la musica. E in questo i documenti audiovisivi collezionati dalla RSI forniscono molti spunti, a partire dall’intervista concessa da Montale a Bixio Candolfi, mandata in onda sulle nostre emittenti nel 1976 e, poi, dall’indimenticabile “Biografia di un poeta”, colloquio del 1969 tra il poeta, Giulio Nascimbeni e Fernando Giannessi.

Documenti che ci permettono di riflettere su una delle personalità – ricorda Pusterla – «che ha attraversato il XX secolo, avendo scritto lungo tutta la sua esistenza. L’intero Novecento passa nelle opere di Montale, opere di importanza capitale per lo sviluppo della cultura, perché il poeta è riuscito come pochi a metabolizzare i fenomeni del mondo europeo». Ma l’attitudine dei giornalisti al Poeta è altra: essi cercano, come nota subito Pusterla, «la monumentalizzazione della sua figura, in un’ Italia che non ha ancora fatto veramente i conti con se stessa e il fascismo. Se ne fa, nonostante il suo fosse un antifascismo moderato, una figura immancabilmente leggendaria, per cercare di dare al Paese una patina di rispettabilità. Inoltre, infastidisce, da parte della critica, quella sorta di “feticismo”, per cui bisogna ad ogni costo inseguire le piste più minuziose, per cercare di ricollegare alla realtà dettagli e persone citate nelle sue poesie, senza voler accettare che i fatti contino per se stessi». Ma non è alla valutazione ambivalente della critica passata che ci si deve fermare: Montale è altro e basta poco per accorgersene, come ha poi proseguito Pusterla, individuando le radici di una poesia talmente memorabile da essere «più densa di ogni altro momento di una vita», come l’avrebbe a suo tempo definita Philippe Jaccottet.

A partire, ad esempio, dall’incontro di musica e poesia. «Ho voluto suonare il pianoforte in altra maniera», avrà modo di affermare Montale ed effettivamente la sua arte poetica è spesso «musica fatta con le parole». «Per questo – prosegue Pusterla – bisogna tendere bene l’orecchio quando Montale parla di musica, ad esempio riferendosi alla sua possibile carriera lirica. Lascia infatti trapelare delle informazioni che possono valere come indicazione di metodo per comprendere le sue poesie. Che dire, ad esempio, di quando afferma che “la lirica andrebbe sempre cantata da cani, cani di cui tuttavia non si può fare a meno”? Evidentemente ci sta indicando un rovesciamento dei canoni tradizionali, che è poi la scelta che fa verso figure come D’Annunzio. Basta paragonare “La pioggia nel pineto” dannunziana, con la celebre “Piove” montaliana. Il controcanto è evidente».

E poi c’è la pittura, altra passione di Montale, che il poeta tende però a sminuire. «Ma non è meno importante; dobbiamo prestare attenzione – osserva Pusterla – soprattutto quando ci dice che in pittura per lui l’errore non era un problema; integrava la pennellata sbagliata con il resto e così, forse, anche nella sua poesia».

«È proprio Vittorio Sereni, in un suo illuminante saggio su Montale, a farci notare che il poeta tende ad accogliere nelle sue creazioni anche la non-poesia, l’elemento non riuscito che si integra con il resto. In questo modo, la sua è una poesia perfettamente “fedele all’esistenza terrena”. La vita di un altro giorno permette la poesia di un altro giorno».

Ma chi è allora, per finire, Eugenio Montale? Pusterla risponde con una poesia montaliana che aveva sentito leggere niente meno che da Virgilio Gilardoni pochi mesi prima della sua morte:

Spenta l’identità
si può essere vivi
nella neutralità
della pigna svuotata dei pinòli
e ignara che l’attende il forno.
Attenderà forse giorno dopo giorno
senza sapere di essere se stessa.

Ma una cosa è certa. «Montale non è un monumento rivolto ai nipoti, come lo additava certa critica. Montale è altro». E così, “Archivi del Novecento”, ancora una volta si rivela come un’iniziativa preziosa, che contribuisce in modo essenziale alla costruzione e al consolidamento della memoria collettiva e, in particolare, a quella dei tanti giovani studenti presenti a questa prima serata. L’appuntamento è allora per il prossimo mercoledì 6 marzo, sempre alle ore 18, con Mattia Pini che ci parlerà della figura di Plinio Martini.

Laura Quadri

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