FIT, Festival Internazionale del Teatro L’invenzione di un’autobiografia
In prima nazionale ieri sera al LAC è stato presentato un progetto che ha una lunga storia e che l’interprete e autore messicano Gabino Rodriguez, nella breve chiacchierata post-spettacolo, ha dichiarato di non replicare mai più. Questa è stata una eccezione per il FIT. In Montserrat si mischiano, anche un po’ furbescamente, elementi autobiografici (o che si fanno passare come tali) e l’invenzione, la rielaborazione, utilizzando documenti come filmati in video, fotografie, lettere, la cronaca dai diari che rispecchiano un’epoca di rivoluzioni (fine anni ’60), testimonianze. Materiali di carta, oltre alle piantine nei vasi (che rimandano alla natura del viaggio, agli alberi che segnano il tempo, incontrati dalla donna raccontata o da Gabino stesso), circoscrivono lo spazio scenico davanti al pubblico disposto direttamente sul palco.
Il narrante (Rodriguez) parla della sua infanzia, dei personaggi che l’hanno popolata, apre l’album di famiglia con una sequela di descrizioni ed elenchi che, nella personalizzazione di una vita piuttosto normale dopo tutto, appare anche abbastanza noiosa. Ma si gira attorno alla sparizione della madre morta quando lui era bambino, almeno così gli dicono. Una perdita che segna la sua esistenza.
La svolta, che trasforma il racconto in un giallo e che risveglia la curiosità, avviene quando Gabino scopre che il certificato di morte è un falso e che in realtà sua madre se n’è andata, un giorno è uscita di casa e non è mai più tornata…
A quel punto la ricerca si fa ossessiva, tra i viaggi e il coinvolgimento di un investigatore privato, i colpi di scena troppo teatrali per essere autentici ma che sostengono il monologo (in spagnolo con sopratitoli in italiano). C’è il piano di una storia di cui si vuole scrivere il finale, c’è il piano della vita, così profondamente toccata dagli interrogativi suscitati dalla sparizione della donna di cui il figlio scopre l’infelicità coniugale.
Il percorso ha un esito: la ritrova, ma l’incontro è senza troppe parole, né litigi, né insulti. Un abbraccio e non la rivedrà mai più. La domanda perché mai se ne sia andata lasciando il figlio senza notizie per vent’anni non avrà mai risposta. Uno spettacolo non particolarmente esaltante come creazione in sé ma interessante per capire la direzione e la tipologia di un certo modo di lavorare, appunto, tra finzione e verità (ma cos’è mai la verità?).
Tra gli altri appuntamenti del FIT segnaliamo, questa sera, This is my last dance, sul palco del LAC (ore 20.30, una coreografia svizzero-italiana che s’ispira a Becket).
Manuela Camponovo