Fluctus Teatro: Prometeo incatenato dall’ipocrisia

La prima produzione della compagnia teatrale ticinese Fluctus Teatro attinge al mito greco di Prometeo, e specialmente alla tragedia di Eschilo che lo vede protagonista, riattualizzando e modificando la narrazione, ma mantenendo centrale la ribellione del titano nei confronti delle autorità e la sua profonda umanità.

Ne L’incatenato, scritto da Tito Bosia e Kevin Blaser, si contrappongono due figure: quella del sadico, egoista e narcisista Zeus, e quella del nuovo Prometeo, medico volontario che presta servizio umanitario in una terra straziata dalla miseria. Quest’ultimo, come nel mito, è punito per aver donato il fuoco e quindi una civiltà agli uomini, ma anche per la sua presunta ipocrisia: Zeus, anziché riconoscere i nobili sentimenti che animano Prometeo, considera le sue azioni interessate, un mezzo per pulirsi la coscienza ed apparire come un buon samaritano. La punizione del moderno titano non consiste nel tormento dell’aquila – che, secondo la mitologia, gli squarcia il petto e gli dilania il fegato – ma da veri e propri (ri)morsi di coscienza che lo fanno penare mentre è inchiodato a una rupe. In questo caso a incatenarlo non sono delle catene, ma un tessuto che lo avvolge e lo imprigiona e che si prolunga sino al soffitto del palco. Prometeo è inoltre privato della vista, espediente volto a significare il fatto che questi sia cieco di fronte ai reali problemi dell’umanità. La sofferenza del titano non deriva però dalle torture fisiche che gli infligge il sovrano degli dèi, ma dalla privazione della sua libertà, e quindi dall’impossibilità di agire e di prestare il suo aiuto.

Magistrale l’interpretazione di Tommaso Giacopini che, nei panni di Prometeo, riesce ad esprimere, con la sua voce dolente e vendicativa, la sofferenza e la rabbia della vittima, che si vede schernita e ridicolizzata da un cinico Zeus, che mette in discussione la sua buona fede e il valore delle sue azioni. Particolarmente commovente è stato il discorso da lui tenuto, verso il finale della pièce, ove rimarca la sua sincera volontà di aiutare un popolo che vive in una terra desolata, dove le persone muoiono di fame e vivono in condizioni disumane. Di forte impatto è stato il momento in cui il medico grida il suo dolore nel vedere un moribondo e scheletrico bambino che pronuncia parole che lui non comprende (parlando questi una lingua a lui sconosciuta) ma il cui significato è chiaro: «…sto morendo, ma non voglio morire!…». A spezzare l’atmosfera è Zeus (impersonato discretamente dal ventenne Kevin Blaser), il quale, dopo aver applaudito con arroganza Prometeo, lo ridota della vista, e gli spiega il motivo della sua prigionia: il dio vuole impedire il suo ritorno in patria, presumibilmente in Occidente, luogo in cui potrebbe crogiolarsi ipocritamente delle sue azioni.

Ed è proprio il finale che lascia qualche perplessità: se intendiamo Prometeo come simbolo dell’umanità (che cerca di porre rimedio a disgrazie da se stessa create) ci troviamo in accordo; ma qualora considerassimo Prometeo paradigma di chi offre eroicamente il suo aiuto, e quindi come il medico che ci è stato presentato, non lo saremmo affatto. Qualche dubbio lo lascia anche la parte iniziale dello spettacolo, in cui Blaser spiega al pubblico la storia di Prometeo, con commenti prettamente comici e superflui ai fini dell’importante messaggio che L’incatenato intendeva veicolare, ed il quiz inserito, con tanto di pulsante di prenotazione (che figurava sul palco, accanto agli oggetti del narcisismo di Zeus: uno specchio, un pettine e una bottiglia di vino), tramite il quale il dio sottoponeva delle domande al titano.

Nel complesso, L’incatenato, andato in scena ieri sera al Teatro Foce di Lugano, ha convinto il pubblico. Nel finale è stato inoltre svelato il motivo della saponetta offerta agli spettatori prima della pièce, e della bacinella contenente dell’acqua presente sul palco: i due oggetti volevano significare che gli uomini troppo spesso “se ne lavano le mani”.

Lucrezia Greppi

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