Gran successo per i Poemi visivi e l’omino di gomma al Festival delle Marionette

di Manuela Camponovo

Davvero un gran bel finale quello proposto al Festival delle Marionette dal catalano Jordi Bertran con i suoi deliziosi personaggini di gommapiuma che prendono forma e vita dalla montagnetta di lettere dell’alfabeto incastrate tra loro. Con il complemento di una coppia di aiutanti, le lettere hanno un’anima onomatopeica e figurativa, la S sibila e diventa un serpente; M e B, la mamma e il baby che succhia il latte da un angolo di una stanghetta, ma insieme diventano un toro se poi ci si mette anche la V a mo’ di corna, per imbastire una corrida e la D si slancia in arco contro una X tiro assegno… le lettere diventano anche danzatori sulla musica della chitarra di Bertran, ma possono essere qualsiasi cosa, elicotteri, dischi volanti… Però la vera, simpaticissima, irascibile star è lui, l’omino di gomma, una U per le braccia, una pallina per la testa (che reclama, come un personaggio in cerca di autore), gioca con una sferetta, è danzatore e ginnasta. Da piccolo B si diverte con il suo cane; poi ecco un gatto miagolante con J ed E. Tutti si muovono a tempo di musica, flessuosi, buffi, dinamici. Ancora l’omino comanda a bacchetta Bertran e si cimenta, con molti divertenti insuccessi e cadute, nel salto dal trampolino in una minuscola tinozza. Si seguono i tentativi con il fiato sospeso: ora non va la musica di accompagnamento, ora cade la scala, ora si rompe l’asse del salto… I suoi versetti striduli sanno imprimere un senso alle emozioni anche se non pronuncia parole di senso. Nella serie di ginnasti, ci sono pure un imbranato saltatore con l’asta e un nuotatore che chiede disperato la O-salvagente, in un bis concesso a grande richiesta:  Bertran come il russo Anton. I suoi Poemi visivi, L’omino di gomma, hanno deliziato e conquistato sabato pomeriggio l’affollata platea che ne ha ammirato la tecnica e il misto di lirismo e ironia.

 

Le magiche ombre di Colby

All’inglese Drew Colby, per la prima volta in Svizzera, bastano invece solo le mani, suo strumento di lavoro, uno schermo bianco, le luci, ogni tanto il resto del corpo, un cappello, un foglio di carta, per creare un incanto visivo che ha entusiasmato l’affollata domenica mattina del Teatro Foce. In My Shadow and me gioca con la sua ombra, inseguito e inseguitore e poi dà il via ad un fantastico e raffinato zoo, animando cavallo, gatto, cane (in litigio, naturalmente), ma non solo piatte figure: hanno testa, occhi, lingua. bocca in movimento, oltre che zampe. E cerbiatti e uccelli, bestie di cielo, terra, mare… Con umorismo tutto british, gabbiani, colombe, papere, canguro e lumaca, gli uni partoriti dagli altri, con dinamica di mani e dita (impagabile il coniglio che mangia le carote-falangi, ad esempio). E dal cappello escono serpenti minacciosi, gag ironiche; la testa pelata dell’artista diventa il guscio di una tartaruga. E gioca anche con la duplicazione di se stesso. E poi ancora Pinocchio con il suo lungo naso. E dal foglio di carta, classici barchetta, aereo, cappello, toast. Si diverte anche interagendo con il pubblico e una pallina di carta. Fino al lirismo delle impalpabili creature di luce, concludendo con la visionarietà tricolore della danza di tre orsi, tre cammelli, tre elefanti e tre se stesso. Raccontare è impoverire, senza vedere figure e animazioni, ma Poletti sa sempre farsi nuovi amici e visto il successo, bimbi e adulti estasiati, siamo sicuri che tornerà al Festival.

Davvero dunque una emozionante conclusione per la rassegna che oggi alle 16  terminerà con il ritorno di Jordi Bertran nella sua Antologia.

 

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