Grande successo per la produzione di Collettivo Treppenwitz, in questi giorni al Foce

Grande successo di pubblico per la produzione di “Collettivo Treppenwitz”, nuova realtà teatrale nata dalla fusione di tre compagnie (Atré Teatro, Azimut e Collettivo Ingwer), che si esibisce in questi giorni sul palco del Foce, affrontando per altro con coraggio e creatività una tematica vastissima e multiforme: l’amore.

Con lo spettacolo L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving kills) affrontano una domanda fondamentale: cosa significa nella nostra epoca, nel 2019, amare? La voce dei vari attori sul pubblico, che incarnano al contempo il pensiero di alcune persone realmente intervistate e proiettate sullo sfondo, mettono in scena un’esplorazione a tutto tondo del fenomeno amoroso. E simbolico e significativo è il luogo dell’azione, o meglio il non-luogo: un anonimo aeroporto. Ad illuminare il senso dell’azione – a volte pacatissima, nei gesti misurati dei protagonisti che si muovono fin dai primi istanti in una sorta di istantanea rallentata, altre volte violenta e irruente, come la passione amorosa – di tanto in tanto una riflessione scritta a caratteri cubitali appare sullo schermo di fondo. In questo modo, il messaggio centrale, che fa da fil rouge all’intero spettacolo, è subito chiaro: “Una persona non può controllare la sua vita emotiva così come controlla le sue movenze”. E così, concesso al sentimento amoroso lo spazio che esso reclama, emergono emozioni, ma anche dubbi, perplessità, conflitti atavici legati da sempre alla realtà amorosa. Ma lo dicono i gesti a volte sconnessi degli attori e  lo ripetono le perplessità che si leggono sui volti delle persone intervistate: all’amore non si comanda o, per dirla con le parole stesse che a un certo punto vengono scritte sullo schermo, di nuovo, “qualunque danno possa produrre la tua ostinazione, non oserò contraddirti per timore che tu debba scegliere tra la tua libertà e il mio amore”. L’amore dunque è una questione di libertà assoluta? L’amore non si impone? Forse, ma così come non si impone non si può distruggere. E la solidità dell’amore è significata in quell’abbraccio eterno tra uomo e donna, che gli attori rimasti a guardare cercano invano di separare. Forse, sembrerebbe suggerire quell’abbraccio, amarsi è destino. Del resto, “stop talking about love. Stop wasting your time”, si legge ad un certo punto sullo sfondo. E questo perché l’amore non apprezza tanto le parole quanto la concretezza del gesto. È dunque, questo spettacolo, il racconto dell’amore che passa dalla fisicità dei corpi, che interagiscono poi con le parole che il regista ha raccolto dalla bocca di alcuni giovani svizzeri. Il corpo degli attori traduce i sentimenti, li materializza, e per finire, nella diversità dei corpi e nella loro molteplice capacità di esprimersi, emerge come dell’amore ognuno abbia la propria personale percezione; in ogni caso – sembrerebbe – l’amore è un concetto plurale, un concetto costruito dalla collettività, dove ognuno porta il suo contributo.

C’è chi postula, a un certo punto, tra gli intervistati, l’idea che si possa amare anche solo se stessi, ma il corpo degli attori lo smentisce: l’amore è relazione. Si può certo cercare “una forma d’amore non imposta da qualcun altro”, ma in ogni caso il rapporto è fondamentale e nei casi più fortunati aiuta anche a “dimenticarsi di se stessi”. Tra velati suggerimenti e pacate riflessioni si intravvede, anche per le vicissitudini amorose più complesse, un lieto fine.

Si segnala che L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving Kills) è semifinalista a Premio Schweiz 2018.

Laura Quadri

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