Grazia che passa tra le fessure dell’essere. La scrittura di Vega Tescari

Vega Tescari presenta al pubblico di studenti e professori ticinesi i suoi ultimi due lavori: la raccolta di saggi En suspens. Scenari di tempo. Marguerite Duras, Claudio Parmiggiani, Luigi Ghirri, con prefazione della poetessa Antonella Anedda (Corsiero editore, Reggio Emilia, 2018) – una pubblicazione in cooperazione con l’USI, l’Accademia di architettura di Mendrisio e il suo Istituto di storia e teoria dell’arte e dell’architettura – e Come, libro con postfazione invece di Fabio Pusterla (Cronopio, Napoli, 2018).

Alla presentazione, avvenuta lunedì scorso, sono intervenuti alcuni volti noti del mondo accademico ticinese, dal professor Christoph Frank dell’Accademia di Architettura di Mendrisio – di cui Tescari è stata la prima dottoranda – al poeta Fabio Pusterla, coinvolto nella pubblicazione, e a Corrado Bologna, entrambi professori presso l’Istituto di Studi Italiani dell’USI.

Il prof. Frank ha da subito ricordato l’originalità degli scritti di Tescari, “che supera le aspettative, sia culturali che disciplinari”, perché “più che darsi delle risposte, Vega si pone delle domande”.

Quindi il prof. Pusterla, entrando nel dettaglio, ha iniziato a parlare dei testi creativi di Tescari, contenuti in Come. “Si tratta di testi stranissimi e particolari, raccolti sotto un titolo che è di già parlante e che subito indirizza lo sguardo al metodo. Più che definirli, è più facile dire ciò che essi non sono. Non sono testi narrativi in senso tradizionale, anche se mantengono l’ossatura narrativa. Non sono neanche un poème en prose, benché del linguaggio poetico rechino diverse tracce. Quello compiuto dall’autrice è un tragitto che parte dal lavoro sulla parola, o meglio, che passa dalla realtà alla parola, per poi riverberare il bagliore di questa sulla realtà. Ne consegue una sorta di trasformazione della realtà in meccanismo linguistico”.

Ma di cosa ci parlano esattamente questi testi? “La trama è marginale. Tutto è nitido e trasparente, le parole dicono esattamente qualcosa, anche se questo nitore si trasforma velocemente in una forma di inquietudine attorno a qualcosa che non viene detto. Mi viene in mente Maria Corti che a proposito del modo di creare inquietudine diceva ci fossero due strade: o rendere quotidiano ciò che è strano o rendere inquietante ciò che è quotidiano. Così è nei testi di Tescari: tutto è comprensibile, quotidiano, quasi accogliente eppure leggermente inquietante”.

Quale rapporto sussiste tra Come e la raccolta di saggi En suspens? “È un rapporto – prosegue Pusterla all’insegna della sospensione e dell’alterazione, ma c’è anche tra le due una fondamentale differenza. Il suo è un saggio per niente canonico dentro il genere saggistico. L’autrice volutamente non sta alle regole dell’arte, le piega verso i suoi interessi. Ma la cosa più importante è un’altra: aggiunge attorno alle tre figure centrali – Parmiggiani, Ghirri e Duras – delle parole che non spiegano, ma costruiscano un discorso di idee a partire dall’opera che gli artisti ci hanno messo davanti. Come, invece, è un libro “in levare”: l’autrice toglie dalla pagina ciò che rendere la vicenda riconoscibile, il dato esperienziale e biografico, che deve essere abraso dalla pagina; se rimanesse diminuirebbe il tasso di vertigine e spiazzamento che il racconto deve provocare. Il prezzo da pagare per questa vertigine è l’allontanamento dalla riconoscibilità. Quindi, con i suoi saggi, Tescari dà voce al silenzio; con Come, al contrario, ricerca il silenzio del bianco della pagina”.

Il prof. Corrado Bologna, continuando il discorso e riallacciandosi a queste osservazioni, ha quindi fatto capire che En suspens è un “attraversamento completo della cultura novecentesca”, dominata come per Tescari da una “ossessione per l’arte del levare”, ovvero il tentativo di presentare il reale senza più rappresentarlo, celebrando la cessazione del voler dire per tentare, invece, di “cogliere”. Così, anche per En suspens si incontrano allusioni e rimandi ai Grandi del Novecento: Maria Zambrano, Edmond Jabès, Michel de Certeau, Walter Benjamin, Agamben e tanti altri ancora. Ma l’arte di Tescari è michelangiolesca, “presta attenzione solo a quello che resta, alla natura residuale di ciò che resta dopo un progetto di svuotamento”. 

“Degli strati liminari della materia, di questo si occupa la scrittrice. A ciò che allude ad un’impalpabilità o, come direbbe Jankelevitch, agli “attimi di folgorazione”. Lo strumento? Una prosa asciutta, tipica di una “teologia della briciola”, che sarebbe molto piaciuta a Calvino”, sottolinea il professore.

“La contemplazione del minuscolo, del millimetrico rimanda anche ad una teologia interstiziale, a quell’infinita oscillazione tra silenzio e parola, progetto e azione. E c’è una profondità ulteriore che è intrinseca e che l’artista sommo degli uomini contiene in se: il desiderio di dare inizio. Dare inizio alla parola creatrice. Ma come diceva Simone Weil: la grazia passa attraverso le fessure dell’essere. Così, anche per Tescari, la polvere sembra l’unica cosa che durerà per sempre. È consumazione di tempo, sottrazione di matericità, puro nulla da cui nasce, del resto, la poesia occidentale”.

Ma che ne pensa la stessa autrice della sua opera? “La polvere è importante come oggetto di studio – spiega Tescari, infine intervenuta – ma anche approccio alla realtà. È prossima all’ombra, in quanto anch’essa perdura, resiste. Materia effimera, che pur esiste; insomma, una forma di resistenza fragile e sottile”.

“Alla polvere si riconnette il tema dell’eco. Essa è tutto ciò che perdura della parola proferita, una traccia resistente. La resistenza è qualcosa che mi affascina e mi attira della parola. L’oggetto risuona pur non essendoci”.

Ma, soprattutto, “ho voluto sottolineare come le cose vivano di vita propria. Ho cercato di svuotare e rigenerare la parola per tornare ad una semplicità primordiale: più la parola è costretta in margini di nominazione e meno diventa abitabile. Da qui uno degli elementi cruciali: il mio testo non è narrativo, non ha riferimenti precisi. Questo perché lo spazio che mi interessa è quello della lingua. Per questo, mi affascina molto la dimensione del neutro, che permette alla Voce, con la V maiuscola, di farsi sentire”.

Laura Quadri

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