I diritti dei cristiani e il bene di tutti. Due testi da Pinerolo

A Pinerolo, in Piemonte, la comunità protestante è storicamente consolidata. I rapporti con la diocesi cattolica sono cordiali e collaborativi. In occasione di questa seconda ondata di pandemia, si è riproposta la questione dell’apertura dei luoghi di culto. Le due confessioni insieme hanno steso un comunicato col quale la diocesi di Pinerolo e della chiesa Valdese, pur consapevoli del diritto di poter proseguire con le celebrazioni, hanno deciso comunque, «di fare volontariamente un passo indietro, sospendendo le celebrazioni e i momenti cultuali nelle domeniche 15 e 22 novembre. A questa decisione – scrivono – siamo pervenuti congiuntamente con la volontà di dare a questo gesto una valenza ecumenica e di testimonianza civile. Vogliamo altresì dare un segnale di solidarietà e vicinanza a tutti coloro che sono stati costretti a limitare drasticamente la propria attività lavorativa e, nello stesso tempo, ci impegniamo a non provocare ulteriore sovraccarico al lavoro degli operatori sanitari». L’invito è forte: «Sospendere le attività cultuali non significa interrompere la pratica della carità fraterna, continuando ad impegnarci come cristiani nella solidarietà, nell’ascolto, nell’amore fraterno e nel seguire le persone che attraversano la dimensione della malattia e del lutto. Invitiamo tutti i fratelli e le sorelle credenti a coltivare la propria fede e la propria pietà attraverso la lettura biblica e la preghiera personale».

Al comunicato congiunto, il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, ha fatto seguire una sua lettera personale che diventa particolarmente significativa perché scritta da chi, a causa del virus contratto nella scorsa primavera, ha rischiato la propria vita. Già allora aveva inviato un toccante videomessaggio dal letto di ospedale dove era ricoverato in cure intensive, ed era stato in seguito intervistato in radio dalla RSI. Questo il testo della lettera:

Carissime amiche e carissimi amici,

a giugno, con alcuni amici, ho scritto il libro “Non è una parentesi”. Allora ero quasi certo che la pandemia fosse alle spalle. In quel testo invitavo a “non sprecare” ciò che quel terribile momento ci aveva insegnato. Purtroppo siamo nuovamente nella stessa situazione: tantissimi contagi, molti in terapia intensiva, molti decessi. Gli ospedali sono pieni e molte persone con malattie gravi, magari bisognose di interventi, non possono essere ricoverate. Tutti siamo a conoscenza di persone positive, di amici o familiari ricoverati, di persone in terapia intensiva. Tutti siamo invitati a ridurre i nostri movimenti, a contenere le occasioni di assembramento. Soprattutto nei nostri territori (zona rossa). A tante persone sono richiesti sacrifici gravi per contenere il contagio: penso ai nostri giovani che non possono andare a scuola, non possono trovarsi per fare sport o per chiacchierare la sera; penso ai ristoratori e a quanti hanno dovuto chiudere le loro attività lavorative. Sono sforzi enormi, richiesti per ridurre le occasioni di contagio, anche là dove erano stati fatti sforzi grandi per adeguarsi alle normative (penso alla scuola, ai locali pubblici e ai negozi). Il governo non ha chiesto a noi cristiani della zona rossa di sospendere le celebrazioni festive. Sono consapevole che abbiamo questo diritto. Ma io chiedo ai cristiani cattolici di “fare volontariamente un passo indietro” e di rinunciare per due domeniche a questo diritto, per contribuire ad un bene comune, cioè il contenimento del contagio. So che è un sacrificio grande. Ma essere cristiani non significa innanzitutto difendere i propri diritti, quanto lottare per i diritti di tutti. Molti mi diranno che dobbiamo difendere la nostra identità, espressa soprattutto nella celebrazione eucaristica. Care amiche e cari amici, la nostra identità sta nella nostra capacità di seguire Gesù Cristo, che si è fatto dono per tutti, capace di santità ospitale. Lo so, abbiamo bisogno di Lui per essere dono per gli altri. In questo tempo preghiamo tutti di più! Ve lo chiedo in ginocchio. Preghiamo di più, preghiamo incessantemente per noi e per tutti, in particolare per quelli che soffrono. Riscopriamo, nella necessità, la preghiera in casa. Troppi cristiani l’hanno dimenticata. Riscopriamo la lettura della Parola, nella quale ci viene incontro Cristo stesso. Non possiamo radunarci in chiesa, ma possiamo radunarci in casa. Come sarebbe bello un momento di silenzio e di preghiera con i figli o con i nipoti! In molte case cristiane si è persa questa cura domestica della fede. Senza la cura domestica e personale della spiritualità, la Messa rischia di diventare un rito vuoto. Lo so che in queste domeniche ci mancherà la dimensione comunitaria, pilastro del nostro cammino di fede! Lo so e sono felice che in noi credenti sia vivo e fecondo l’aspetto comunitario. In questi giorni mi impegnerò io per primo a curare maggiormente i contatti e ad essere presente con video, streaming, messaggi, telefonate. Chiedo di fare altrettanto ai sacerdoti, ai diaconi, ai catechisti, agli animatori. Anzi chiedo a tutti i cristiani di dedicare maggior tempo alle relazioni. Il cristiano è un creatore di relazioni all’interno e all’esterno della propria comunità. Con uno slogan direi così: “Chiudiamo per aprire”. Sogno una Chiesa meno ripetitiva, meno individualistica, meno autocentrata; sogno una Chiesa che si fa dialogo, che si fa relazione, che vive di relazioni, che è capace di celebrare con genuina creatività la risurrezione del Signore sempre. Sogno una Chiesa che incarna l’enciclica “Fratelli tutti”, che vive il comando dell’amore. La Chiesa è “Corpo di Cristo”. In questo tempo vive la dimensione di “corpo lacerato” nella certezza di tornare ad essere “corpo risorto”. Come dice saggiamente il teologo Marco Gallo “La libertà di culto non è un bene assoluto, ma vive in equilibrio con una presenza evangelica nei territori e nei contesti. Soprattutto, per riportare alla questione liturgica, la libertà di culto non coincide con il culto pubblico ad ogni costo. Bisogna aver fiducia nella liturgia, che sa aspettare i tempi opportuni, trasformarsi in gesti ancor più discreti, in contatti differenti”. Chiedo scusa alle persone sensibili che magari verranno scandalizzate da questa scelta. Cari amici, vi chiedo di fare questo sforzo anche per i vostri figli, o nipoti, che forse non frequentano più le nostre liturgie (e son tanti, purtroppo). Loro guardano la Chiesa come un’istituzione insensibile alla loro vita concreta, ai loro problemi; un’istituzione chiusa nella sua dottrina, incapace di dialogo; un’istituzione fuori dal tempo. Cari fratelli e sorelle, aiutiamoci a creare una Chiesa capace di parlare non solo a noi praticanti (e di una certa età, come me), ma ancora capace di parlare ai giovani e a chi non crede. Questa è la grande urgenza. Aiutatemi, amici credenti, a costruire il futuro. Di tutti.

(Red.)

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