A Il viaggio

Chi è dunque il mare? Chi è quel violento essere antico che è uno e molti mari. Ed è abisso e splendore. E caso e vento… Così detta Borges. Questo ripetevo come una cantilena, preparandomi al nuovo viaggio, perché il viaggio è sempre uno e, assieme, molti viaggi. Ma quello di Hotelplan è del tutto di natura diverso. Un viaggio breve, brevissimo, due giorni appena tra andata e ritorno, per illustrare alla stampa svizzera le mete della prossima stagione e raccontare le storie del bilancio di un anno. Viaggio diverso, perché i giornalisti convocati a Zurigo alla conferenza stampa dalle varie località, non sanno mai in anticipo dove saranno portati. Due anni or sono, in pieno giugno, con una splendida temperatura estiva alle porte, praticamente tutti ci eravamo attrezzati con creme da sole e sandali: sembravano conseguenti al percorso della stagione e del tempo. E invece sbarcammo a Tromsø. In Norvegia: al Circolo polare artico. Senza notte, dalla cima delle vette a guadare la città addormentata tra le navi e i fiordi mentre per noi la luce imperdibile durava fino all’alba come se l’uomo fosse sbarcato sulla luna. Bisognosi di giacche a vento per il possibile gelo o la neve o la pioggia se più caldo. Lo scorso anno, all’incirca nello stesso periodo, fu la volta di Cracovia e del viaggio tra i fili spinati e le croci di Auschwitz. Ancora ci si rabbrividisce il sangue e la memoria si empie di sangue. Oppure a visitare le splendide saline di Wieliczka, nell’area metropolitana di Cracovia, perché per ogni viaggio si offrono sempre quattro alternative in scelta ai viaggiatori, come le varie dita di una mano. E quest’anno? Ormai siamo arrivati a fare scommesse in famiglia. Le mete più censite spaziavano per noi dal Portogallo alla Russia. Ma il segreto approntato dopo vari test e conciliaboli e custodito da Prisca Huguenin-dit-Lenoir, capo del Corporate Communications di Hotelplan e dalla sua fida Gaby Malacrida, regge sempre granitico alle varie insinuazioni e tentati tranelli degli astuti cronisti elvetici per individuare la meta dal minimo indizio. Viaggi, dunque, come una sorpresa nell’uovo di Pasqua della stampa svizzera. Ma il risultato quest’anno è andato oltre le previsioni. Alle radici stesse del significato del viaggio e della vicenda dell’uomo nomade. Lì dove prese corpo la filosofia del legame intimo tra il viaggio e la conoscenza. Su quelle rive dell’Egeo dove Omero, come Penelope che disfa e riassetta, insegnò a intessere in Ulisse il primo eroico rappresentante di quel mondo mitico. Egli che intraprese quell’avventuroso itinerario come strumento per cercare la libertà, conoscere gente diversa (e in fondo anche se stesso) oltre le pulsioni delle vicende storiche e politiche, per svincolarsi dai soprusi e realizzare, con l’aiuto degli Dei vicini (seppure invisibili), il sogno ultimo della vita nel ritorno consapevole verso la sua dimora. Insomma anche noi siamo giunti e ritornati assieme, sbarcati come mendicanti alle mura della città di Atene, culla della democrazia come della sempre più attuale e moderna filosofia dell’uomo.

Cos’è il viaggio

Cos’è dunque il viaggio? L’etimologia fa derivare la parola dal latino «viaticum», vale a dire le provviste, soprattutto alimentari che il pellegrino si portava appresso per partire da un luogo ed arrivare ad un altro distante. Non c’erano infatti locande, bar, autogrill disseminati nei percorsi. Soprattutto (ed è ovvio) in mare. Si viaggiava appendendo il “carro” alle stelle e agli astri, sole e luna su tutti. Oggi abbiamo molti strumenti e il viaticum alimentare non è più così importante. Anzi, bisogna stare attenti che ci sequestrano persino i liquidi all’aeroporto (occorre comperarlo solo all’interno del duty free…). Il viaticum è rimasto nella memoria collettiva solo come conforto quando ci si incammina nell’ultimo viaggio della vita. Ma il viaggio fa parte della natura stessa dell’uomo. Anche la nostra terra su cui abitiamo (così come le stelle e gli altri pianeti) è sempre in viaggio. Il viaggio è dunque nel nostro DNA. Caso mai ci portiamo dietro, nel nostro percorso, troppa roba, quasi si trattasse di un trasloco, per avere tutte quelle cose che battezziamo con il nome di comodità. Basterebbe molto meno, si fa meno fatica, ci si circonda di meno impicci e si guardano le cose come dovrebbero essere: nuove. Il viaggio, ci incita all’essenziale. I bagagli sono sempre pronti. In fondo, il viaggio è come l’amore. Che ci fa vedere nuove tutte le cose. Non solo l’amato o l’amata. La vita stessa che ci circonda. Walter Benjamin racconta come la cosa più difficile (ma in fondo esaltante) sia perdersi in una città che già conosciamo. L’attraversiamo ogni giorno, ma non ci rendiamo più conto di come essa sia in realtà, presi dall’abitudine e dai nostri pensieri, delle cose che ci circondano, Fino a quando vengono a trovarci degli amici e ci dicono magari cose cui non avevamo pensato ed osservato. Uno squarcio, una prospettiva, un capitello dimenticato, un sapore per la strada che ci fa da filo conduttore. La madeleine. Un quadro, una statua al tramonto. Come la vedessimo la prima volta alla luce dell’alba.

Nessun’isola è un uomo

In fondo si dice che nessun uomo è un’isola. Ci mancherebbe. Parimenti, nessuna isola è un uomo. Caso mai nelle isole abitano uomini. Rari nantes (invece) in gurgite vasto, dice il poeta. Rari nuotatori nel vasto mare. Non c’erano ancora i barconi o gli scafi che trasportavano i richiedenti l’asilo. E comunque in Grecia, il viaggio è naturalmente più facile: l’orizzonte stesso lascia intravvedere molte isole, promontori, cale, porticcioli. Ci si allena al viaggio e poi si va più lontano. Vedendo il percorso, il viaggio è già a portata di mano, di remi, di navi, di coraggio e curiosità. Di necessità. E caso mai il viaggio si gusta assai in amicizia. Come scrive Dante nelle rime: Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio. Così i viaggi dei cronisti svizzeri.

Arrivo ad Atena, un terzo della Grecia

Approdati dunque ad Atene. E subito ci si incammina con il mio piccolo gruppo al museo dell’Acropoli. La prima cosa da notare è che nel periodo più grave della crisi finanziaria mentre le banche elleniche erano piene di crediti inesigibili e tutta l’Europa era in subbuglio, il popolo ellenico ebbe il coraggio di votare a favore dell’edificazione del museo. L’anima di un popolo dalla schiena ritta vale molto di più. E dunque, con rispetto, ci si incammina a visitare i resti di quello che i turchi e gli inglesi non sottrassero per portare gli originali a Londra sostituendoli con copie perfette, ma pur sempre copie. Il denaro è capace di far questo ed altro. Per fare spazio al museo inaugurato nel 2009 furono demoliti una serie di vecchi appartamenti e si scoprirono le fondamenta di abitazioni risalenti tra il 600 avanti e il 600 dopo Cristo. La città è circondata da montagne che superano i mille metri, racconta la guida e talora d’inverno le cime si pingono di neve mentre più in giù vi è il porto sul mare Egeo. La popolazione della città è di 4,3 milioni di abitanti, un buon terzo della popolazione totale della Grecia. Atene a differenza di altre città moderne non ha grattacieli per non oscurare l’Acropoli. Sotto l’Acropoli si trova il rione antico e quando il primo re della Grecia scelse Atene per il suo governo, duecento anni fa, la città contava appena 8 mila abitanti. Poi tutti vennero dalle province, principalmente dopo la seconda guerra mondale.

Il furto del Partenone

Cinquant’anni fa la città era ancora di 2 milioni di abitanti. Il museo è principalmente dedicato al Partenone che è la “cattedrale” della città. Il fregio è costituito da placche e le parti più bianche sono copie degli originali portati al British Museum nel 1801-02 per iniziativa dell’allora ambasciatore inglese col beneblacito ottenuto dalla “sublime porta” di Istanbul, convincendo il sultano ad aderire alla sua richiesta. Assoldò 35 falegnami che lavoravano per la flotta inglese, mentre lo scultore italiano Lusieri sostituiva i reperti con copie e 17 navi inglesi trafugarono i marmi. Per questo motivo il governo greco vuole la restituzione dei fregi perché essi rappresentano la carta da visita della cultura greca.

L’eterna processione e il viaggio

Nel fregio viene raffigurata la processione che si svolgeva ogni quattro anni. E la processione finisce dove sono raffigurati gli Dei. Una processione da destra, l’altra da sinistra, in mezzo gli Dei beati. Se possiamo sintetizzare la Grecia antica in una frase essa è “la cultura dell’essere umano”. Le persone sono raffigurate come uomini normali che partecipano a questa processione come in fila ed esse si trovano allo stello livello degli Dei. Nessuno è inginocchiato. La Grecia insomma concepiva l’essere umano come centro dell’universo ed erano gli dei ad immagini nostre, non viceversa. Il Dio sconosciuto lo si conosce nell’uomo. Nella processione ci sono anche tanti cavalli che sono di una razza diversa, più piccola di quella araba che conosciamo noi. All’inizio della processione c’è gente che porta anche gli animali non per il sacrificio, ma per il “viaticum” per il viaggio. Nessuna differenza. Nessuno è prosternato. Nessuno ha paura. La Grecia è molto antropocentrica. Il Dio non è un coccodrillo, un elefante, non è il sole o la luna e nessuno ne ha paura. Il Partenone venne terminato nel 432 A.C. Sotto la supervisione di Fidia lavoravano 6-7 persone, ognuno specializzato in una parte del corpo, un altro per i cavalli. Come se vedessimo un film che si realizzava ogni quattro anni come le Olimpiadi. Gli dei erano 12, divisi in due schiere. Una parte aspetta la gente che arriva da destra, gli altri quelli da sinistra. Il fregio si trovava ad un’altezza di 12 metri. C’è anche un Dio che è stanco di stare seduto. Poi c’era il carro del Dio del sole che saliva e quello della luna che scompariva. Mentre c’è pure la scena della nascita di Atena.

I centauri, la prima bomba di guerra

Sono poi raffigurati i Centauri che rappresentarono un salto di qualità nella guerra. Come mai i Centauri appaiono raffigurati come un’unione tra uomo e cavallo? Perché appunto tali apparirono agli abitanti di fronte alla loro prima venuta in veste di conquista. Il cavallo infatti non era un animale presente da sempre in Grecia. Nella preistoria a Malta vi erano mini elefanti, mini ippopotami. Cinque mila anni fa, coi primi uomini che apparvero sulla scena cavalcando un destirero, tanto i greci che i siriani hanno creduto che fossero un essere solo.
Così nacque la mitologia dei centauri. Le formelle con i cavalli, che hanno più movimento, sono quelle che maggiormente sono state deportate a Londra.
Ma poi durante le varie età dell’uomo, altri hanno contribuito ad asportare nuovi pezzi,una testa, un braccio, una mano, lasciando le tracce. I fregi originali erano anche colorati e lo sfondo era bluette, mescolando il colore lapislazzuli con cera liquida e indurente per reggere ai raggi del sole e alle intemperie.
Sull’Acropoli ci sono circa 55 mila tonnellate di marmo con pietre legate assieme con ferri inseriti nella scanalatura incisa tra una pietra e l’altra. Venivano posate sulle impalcature con imponenti gru di legno. Le travi sono le pietre più pesanti di tutta l’Acropoli, ben oltre quello di un grosso tir, con pezzi da 16 tonnellate per intendersi. Nel 1680, nella guerra tra combattuta tra i veneziani e l’impero ottomano, un’esplosione distrusse i propilei e il tetto.

Un nudo accarezzato che porta vestiti

Gli squarci delle sculture femminili rivelano l’innamoramento dell’autore, chiunque egli fosse, come accadrà nel Rinascimento italiano: un corpo nudo che porta i vestiti e nulla nasconde dell’incanto e della grazia, anzi l’infiorisce. Come se fosse un nudo accarezzato sotto la tunica. Insomma: angeli. Con due ali. Mentre la Bibbia parla di sei ali. Ecco per risolvere l’inghippo, soccorre all’artista l’ispirazione dalla Nike di Samotracia. Da qui la lunga discussione nel Medioevo sul sesso degli angeli. Era di sicuro un angelo, ma l’artista, il cercatore del bello, vede la donna. Tra i bassorilievi più incantevoli, vi è la dea che si rende conto di un calzare che le dà fastidio perché non l’ha allacciato bene. Se mai ci fosse una dea o una donna alata, essa si china ad allacciare i sandali. In questo periodo, (432 AC) Atene è in guerra con Sparta. Ebbene, vengono raffigurate anche le ragazze più belle di Sparta sebbene con una postura un po’ arrogante. Gli ateniesi dunque raffigurano le donne di Sparta come fossero Silvester Stallone. Le uniche belle, dice la leggenda, provenivano da un villaggio vicino a Sparta che portava il nome di Caria. Ecco dunque che sono raffigurate le Cariatidi. Ad Atene ne sono rimaste cinque, mentre la sesta si trova a Londra. Essendo le donne più belle di Sparta furono però obbligate a sostenere un tempio da parte degli altrettanto arroganti ateniesi. Sono in pratica delle colonne femminili, coi lunghi capelli, perché devono sostenere 35 tonnellate di marmo e così coi capelli si aumenta la massa del marmo per adempire il loro compito. Gli ateniesi persero poi la guerra, ma non l’arroganza ma comunque, persero la guerra con stile ed arte. Il ginocchio è rilasciato a destra o a sinistra, a seconda la posizione, per sostenere il tempio. Il contrapposto.

Sono dunque sei: tre e tre. Perché sarebbe stato molto più brutto vedere da lontano una gamba o un ginocchio proiettato all’inverso. È questo il periodo “classico” dell’armonia delle forme. Al momento dell’invasione di Serse (480 AC), i reperti precedenti furono distrutti e quanto è stato recuperato si trova al piano inferiore del Museo e per fortuna è stato facile ritrovare qualcosa.
Gli uomini erano raffigurati nudi e le donne vestite. Si vedono anche le dita greche, col secondo dito più lungo del primo. Sono questi reperti colorati perché interrati e sottratti ai raggi del sole che non li ha ossidati. Così si può vedere il sorriso arcaico, caratteristica di un periodo in cui all’oriente vi erano molte guerre mentre in Turchia si intercalavano due stati cuscinetto che proteggevano la Grecia.
Ecco dunque il sorriso magico e la pettinatura all’egiziana del periodo arcaico, con profili ed espressioni che ricordano la Thailandia e sono raffigurati persino mostri. Saliamo dunque verso l’Acropoli.

I carrubi, i carati e il numero magico

Fuori, nella salita, si incontrano gli alberi di carrubi. Hanno questa particolarità. Che il loro seme è sempre uguale, con le stesse fattezze e lo stesso peso. Così sono diventati i carati, per misurare le cose. Più in alto vi è un teatro coperto per 5000 spettatori. Fu costruito da un mecenate greco che aveva sposato una principessa romana morta precocemente ai tempi di Marco Aurelio. Le dedicò il manufatto, come oggi farebbe uno svizzero greco. Ma si impara a scuola il Partenone anche per la magia nascosta dei suoi numeri. La prima colonna è alta quanto tre piani, ma arrivati in cima sulla spianata, il Partenone sembra più piccolo perché le proporzioni sono idonee in quanto rispetta la norma dell’uomo vitruviano di Leonardo raffigurato sugli euro dell’Italia. Perché anche sul nostro corpo c’è una proporzione idonea che è lo 0,618. Qualcosa che hanno fatto appositamente nell’antichità. per non mettere in soggezione l’uomo. Nulla a che fare con gli arditi scintillanti grattacieli della città moderna, simili nella loro ingordigia alle torri di Babele dove si vive assieme ma non si parla più. Qui come a San Pietro vi sono due braccia che vi accolgono. E una sola colonna pesa 60 tonnellate. La statua di Pallade fatta di oro e avorio fu invece fusa nel Medioevo perché aveva una tunica con circa una tonnellata d’oro…

Il dio ignoto e i capperi

Da qui in alto si vede quanto sia piatta Atene nella parte occidentale e qui è venuto a predicare San Paolo all’Aeropago, quando ha interrogato gli ateniesi sul Dio Ignoto che ora ha assunto un nome. Sulle mura compaiono d’estate i capperi che non si possono coltivare, ma sono sopravvissuti. Sono passati i greci, sono passati i romani. Se ne sono andati i veneziani e i turchi. I capperi ci sono sempre stati e ancora ci saranno. All’Agorà vi era il centro della città. Parlavano tutti i grandi filosofi. Qui fu condannato Socrate a bere la cicuta. Se avete dei bambini e vi chiedete perché non amano le verdure, è una cosa atavica. Il cibo verde è potenzialmente pericoloso. Solo gli adulti sanno distinguere il buono da ciò che avvelena la vita. Oppure, diciamo meglio, solo gli adulti dovrebbero saperlo. Certo, il Dio Ignoto ama i bambini, ma la sua speranza è che diventino adulti, ricchi di un amore libero. Qui all’entrata c’era il tempio di Vulcano. Da qui in alto si vede lo stretto di Salamina dove c’è stata la battaglia contro Serse. Fino a poco tempo fa il Pireo non poteva essere comperato. Lo si affittava per 35 anni. Invece ora è stato venduto a cinesi: lunga storia…

La democrazia si misura in proporzioni

Al tempo di Pericle si poteva unire tutta la Grecia: avrebbe dovuto essere sotto il controllo di Atene, ma sarebbe stato necessario fare qualcosa di grande e visibile dal mare (l’Acropoli) contro ogni nemico che arrivasse da lontano. Ma per i greci, una volta saliti qui, lo Stato non doveva spaventare: tu non sei suddito, ma cittadino. Così si è creata questa illusione ottica col numero magico per la esatta proporzione tra larghezza e altezza. A seconda da dove si fotografa il Partenone, esso sembra più o meno alto, imponente o rassicurante. Anche perché non c’è assolutamente alcuna linea retta. Tutto è modellato secondo la conformazione del suolo per raggiungere però la stessa altezza e lo stesso dominio delle proporzioni. Per esempio anche gli scalini al centro sono più alti di 12 centimetri rispetto a quelli delle ali dello stesso gradino. Come se tutto fosse adattato su una specie di cuscino alla natura del posto. Per compensare la naturale tendenza dell’edificio di aprirsi, le colonne convergono verso il centro. Manca la statua di oro e d’avorio, manca il tetto per la bomba di Morosini che assediava la città e mancano le statue che il lord inglese si è portato a Londra. Qui, mancano evidentemente le proporzioni. Dopo che venne persa la guerra con gli spartani venne eretto il tempietto a ricordo dell’epifania divina di Poseidon e Athena che offrono regali alla città. Athena offrì il primo ulivo di Grecia e vinse la sua tenzone con Poseidon e per questo la città prese il nome di Atene.

Alla fine del viaggio

Alla fine del viaggio, normalmente restano molte fotografie e pochi ricordi. Qui, restano molti ricordi e qualche fotografia. Abbiamo parlato del viaggio. Il viaggio è come l’amore. Ci sono indicazioni, contrassegni, direzioni, punti cardinali. Stelle polari. Siamo arrivati dal mare, da lontano, non sappiamo nemmeno quanto e perché. Tolgo il cerume dalle orecchie e dalla conchiglia ascolto stupito la voce del mare. Poi, certo, ci sono ruggine, capperi, spine, silenzio, nuvole e cespugli. E ovunque c’è sempre molto, molto cielo. Dovunque ci si trovi.

Corrado Bianchi Porro

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