In Giappone: città di Manga e altre leggende

Giappone, trenino dei Manga.

19/20 luglio – La nave approda al porto di Sakaiminato che sarebbe una cittadina qualunque se non fosse un inno ai Manga, dal museo alle statue, ma soprattutto il trenino così colorato di faccine irruenti e arrabbiate. La navetta mi porta alla stazione e, nella patria dei treni veloci, prendo per iniziare un regionale che mi deve portare a Okayama, prima tappa del mio viaggio. Ma gli appassionati di fumetti arrivano qui da ovunque per poter ammirare questo allegro convoglio e salirci sopra. Cambio a Yonago e proseguo con l’espresso Yakumo, qui tutti i treni hanno un nome preciso. Il panorama mi mostra il lato più agreste e contadino del paese, con orti e campi coltivati, casette dai tetti a pagoda, altre molto meno romantiche.

Il primo impatto con la popolazione è davvero piacevole, gentilissimi si fanno in quattro per aiutare, nonostante le difficoltà linguistiche, con mia sorpresa scopro che sono davvero in pochi a conoscere l’inglese. Si scusano in un profluvio d’inchini anche quando sei tu in torto, magari perché hai urtato una persona, fanno file ordinatissime, si fermano sempre per lasciare passare il pedone. E certo Okayama non è Tokyo, la gente appare meno stressata.

Dopo le formalità in hotel mi dirigo verso il giardino, ma ormai è tardi e sta per chiudere, lo vedrò domani. Trovo un delizioso ristorante vicino all’albergo dove fanno un’ottima minestra di mais, direi una vellutata, densa e gustosa e anche i dolci non sono male, infatti ci tornerò il giorno dopo. Da queste parti non ci sono troppi grattacieli e nemmeno un eccesso di tecnologia, l’unica cosa un po’ particolare ma non eccezionale sono i water digitali con bidet incorporato e una serie di tasti che più che apprestarti ad una consuetudine normale, ti sembrerà di dover partire per una spedizione spaziale.

Giappone, Koraku-en.

Il tempo tiene, sempre rannuvolato, ma poche gocce di pioggia e caldo ma ventilato. Di buon mattino colazione abbondante godendomi la vista sulla stazione e il passaggio dei siluri giapponesi, gli Shinkansen, ma subito sono pronta per il Koraku-en che è considerato uno dei tre giardini più belli del Giappone e sarà una esperienza di pura bellezza e grazia spirituale, tra laghetti, cascatelle, risaie, boschetti di canne, ponticelli, prati aperti di verde smagliante (con tutti i verdi che c’erano, mai presente nella Transiberiana) e sentieri ombrosi, carpe colorate e gru leggermente nevrotiche con il loro assordante verso, mentre le cicale fanno da sottofondo, non esplodono i ciliegi in fiore in questa stagione, ma in compenso posso vedere, in tutti gli stadi, ancora chiusi, al primo fiorire e già seccati, i bianchissimi fiori di loto. Non mancano teatro, casa del te del periodo Edo, una piantagione e una risaia. Il giardino, ordinato da Ikeda Tsunemasa, risale al 1700. Padiglioni, stagni, colline da cui ammirare i dintorni, boschetti e minuscoli santuari, anche i resti di quello che fu un debarcadero vi porteranno fuori dal mondo, in una vera oasi di serenità, difficile allontanarsi. Da qui si arriva al castello cinquecentesco ma ricostruito nel 1966, secondo logica tipicamente giapponese e anche all’interno di originale c’è ben poco.

Giappone, Koraku-en risaia.

Giappone, Koraku-en.

Per il resto, nella città convive il moderno con casupole che fanno rivivere il passato, colpisce il fatto che le abitazioni monofamigliari siano appiccicate le une alle altre, creando una sensazione claustrofobica. Vedo in diverse statue e persino nei tombini raffigurato il ragazzo pesca, Momotaro, in riferimento ad una leggenda molto popolare da queste parti. Una zona suggestiva è quella del canale Nashigawa, lunghissimo  ne faccio una parte disseminata di sculture con targhe unicamente in ideogrammi. Strade pulitissime, però ho macinato chilometri senza trovare un cestino. Domanda: cosa fanno i giapponesi, se sono per strada, si portano le cose da buttare a casa? Io ho trovato in stazione un inserviente che puliva e a lui ho consegnato della cartaccia, nelle sue mani cortesi…

Giappone, treno siluro in arrivo.

Nel pomeriggio uno di quei prodigi della velocità lo prendo proprio in direzione di Kyoto, si chiama Hikari, mentre vedo passare un Sakura. Circa duecento chilometri in un’ora e mezza, un sogno, silenzioso e deserto nel sabato pomeriggio, anche se il panorama non è un granché, diverse gallerie, molti centri abitativi e industrializzati.

Arrivata, dopo la sistemazione nell’albergo vicino alla stazione, mi fiondo di nuovo nell’incessante formicolio di partenze e arrivi, intanto per ammirarne la vertiginosa struttura della volta, in un intreccio di vetro e acciaio e poi per salire sulla Kyoto Tower da cui si può vedere, in una incandescenza di luci, la metropoli nella sua estensione, ma qui si raduna una folla che si affida più agli schermi digitali che alle finestre naturali, stranezze d’epoca.

Mi fermerò alcuni giorni, in quella che, con poche interruzioni,  fu la capitale del Giappone dall’ottavo secolo alla metà dell’Ottocento e che ne resta ancora la capitale culturale.

Giappone 1. Continua…

 

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