Istanbul (seconda parte)

Il Bazar delle spezie
Tanto ho odiato il Gran Bazar (l’impossibilità di avvicinarsi per contemplare le varie merci in esposizione, senza che il venditore ti assalisse con le sue offerte, la quantità enorme e veramente frastornante, anche se ho apprezzato l’architettura soprattutto, naturalmente, delle parti più antiche), tanto invece ho amato quello delle spezie vicino al molo dei traghetti. Anche qui quantità esorbitanti e, se possibile, ancora più folla: quando noi parliamo di luoghi affollati nelle nostre piazze o strade, non abbiamo idea di cosa veramente possa essere una folla prima di arrivare in India, in Cina o appunto in megalopoli come Istanbul, circa 15 milioni di abitanti, compresi i quartieri asiatici.
Forse perché ho una passione per il the e per ogni tipo di spezia in generale e poi: i colori, i profumi, l’esposizione… E doversi limitare perché non ci si può caricare per il ritorno… Un rimpianto…

Grand Bazar

Leggevo la mia guida, “Lonely Planet”, per cercare di orientarmi, la guardavo davanti ad una delle botteghe e notai che il commerciante era attratto dal mio libro, lo osservava e alla fine è uscito per farmi notare che la foto dell’immagine sulla carta rappresentava proprio il suo negozietto!
Anche qui ho avuto la riprova dell’estrema cortesia dei turchi. Avevo comprato della frutta secca, un esemplare per ogni tipologia di datteri, fichi secchi ripieni, noci ecc… e mi era stato riempito un sacchetto di plastica, poi sigillato. Passeggiando per le vie del Bazar tentavo disperatamente di aprirlo per assaggiare qualcosa, quando uno dei venditori mi ha fermata, mi ha preso il sacchetto e lo ha tagliato con le sue forbici e non avevo neanche acquistato da lui che vendeva la stessa merce, quindi nessuna speranza che l’avrei ricomprata…
Montagne di granelli anche di alimenti che non saprei nominare. Qui c’è pure uno dei più antichi ristoranti della città, Pandeli che, ovviamente, quando mi ci sono trovata davanti era chiuso, un cartello annunciava la prossima riapertura… Da quando sono qui a questi infortuni turistici sono ormai abituata.

Fumare come un turco
Ve lo assicuro, mai modo di dire è più letterale di questo. Pare che derivi dalla proibizione messa in atto da un sultano. Quando venne di nuovo liberalizzato, dopo il periodo di astinenza, tutti si sono messi a fumare come… turchi, appunto.
È un popolo gentile, l’ho già detto, ripetutamente, ma anche piuttosto trasandato nel curare la pulizia dei propri luoghi; i contenitori sono sempre troppo pieni e se non li si azzecca e la bottiglietta di plastica cade, pazienza, nessuno tornerà a raccoglierla.

Buona norma di galateo pare sia quella di non soffiarsi il naso in pubblico (se uno ha il raffreddore, cosa fa? Non esce di casa?), in compenso sputano nelle acque delle fontane… Ma i mucchi di cicche per terra non si contano proprio, fumano tutti in giro (come da noi, è vietato negli spazi chiusi), fumano tanto (gli uomini!) ed è tornato molto di moda, anche a livello turistico, il narghilè, la famosa pipa ad acqua, per la quale ci sono dei locali appositi dove si può anche “noleggiare” (i bocchini sono usa e getta): prima di vederlo, se ne sente l’emanazione del caratteristico odore dolciastro e penetrante di tabacco.

Il Museo dell’Innocenza
A proposito di sigarette…
Se, da un punto di vista letterario, si pensa a Dublino, viene in mente Joyce e quel monumento narrativo dedicato alla città dell’Ulisse e del suo protagonista, Mr Bloom; se si pensa a Istanbul, almeno quella contemporanea, della seconda metà del Novecento, non si può fare a meno di riferirsi a Orhan Pamuk e in particolare, oltre ad altri scritti, al romanzo Il Museo dell’Innocenza, anche museo nel senso proprio, fisico, voluto dal Premio Nobel come repertorio simbolico della vita, della società borghese di quel tempo, come inno alla memoria. Nella casa di legno nel quartiere di Beyoğlu, su tre piani, si snoda una serie di vetrinette, più di ottanta, una per ogni capitolo del libro. Forse questa è l’esperienza più singolare che un lettore possa fare ad Istanbul e lo sguardo all’inizio è subito attirato da un pannello sul quale sono collocati 4213 mozziconi di sigaretta. Le diverse immagini a mosaico di un video riprendono una mano con la sigaretta tra le dita, in vari momenti, accanto a diversi posaceneri, tazzine, orologi, a segnare lo scorrere del tempo. È anche la storia di una passione struggente che il protagonista cerca di fermare nell’affetto, nel ricordo, collezionando qualsiasi oggetto possa rimandare alla figura di donna amata e alla sua epoca, ottenendo dei mirabilia moderni oppure una Wunderkammer… Ridando dignità al banale, con quella curiosa e stravagante accozzaglia di elementi, accostati in modo apparentemente disparato eppure ordinato nella logica narrativa.

Museo dell’Innocenza

Se con Mr Bloom si va in giro per Dublino nel corso di una sola giornata, in una dimensione simultanea di accadimenti, qui la temporalità si sviluppa racchiusa in una sorta di diaporama, vetrina dopo vetrina, dalla scarpa e borsetta a quelle cose anche di pessimo gusto, ninnoli o soprammobili, pupazzetti di un salotto comune, oppure d’uso quotidiano, una macchina da scrivere o da cucire, fotografie, giocattoli, carte d’identità, bicchieri, una tazzina di caffè non lavata, vestiti, accessori, giornali, pubblicità, articoli da toilette… Per conservare memoria dell’essere e del tempo, e terminare con una riproduzione reale della camera da letto dove Kemal, il protagonista del libro, abitò negli ultimi anni della sua vita, raggiungendo la felicità sempre inseguita, come fosse stata una persona reale e non una figura letteraria. Troviamo anche il libro in varie lingue ed edizioni, compresa quella italiana. Con questo museo, Pamuk, come manifesto della sua poetica, ha voluto attirare l’attenzione sul destino degli individui e del loro piccolo, grande, universo costruito attraverso gli oggetti e ciò che essi hanno rappresentato e possono ancora tangibilmente rappresentare come esperienza di emozioni, sentimenti, di esistenza e proustiana rimembranza.

Passeggiando
In quello stesso quartiere, c’è una via emblematica della Istanbul contemporanea come la celebrata Istiklal Caddesi, dove ci imbattiamo nei negozi delle marche internazionali che si possono trovare ovunque, una via che ha perso la sua anima originaria attraverso la decadenza odierna. Ne è un esempio la Patisserie Lebon, oggi sbarrata, sbirciando dalla vetrina ho potuto vedere solo un manifesto di quell’art nouveau che caratterizzava il locale. La mia guida afferma che è uno dei più amati di Beyoğlu… Riaperto come fast food ed ora, temo, definitivamente chiuso…
Per la via passa anche un antico tram rimesso in funzione e strapieno di turisti. Non mi azzardo a salire. L’effetto sardina mi toglierebbe ogni ebrezza per il mezzo d’antan…

Ma camminando, a parte la Torre di Galata, presa d’assalto, scopro delle viuzze che ricordano molto i caruggi genovesi. Istanbul è una città dalle mille influenze, ma quando si vuol far rivivere a tutti i costi il passato ormai scomparso, si possono ottenere risultati da falso disneyano come in Soğukçeşme Sokak, vicino al Topkapi dove, al posto degli edifici demoliti, sono state ricostruite case sul modello di quelle ottomane di due secoli prima, criticatissimo progetto, appoggiato dallo stesso presidente turco. Il risultato, troppo nuovo, troppo finto, non mi ha conquistato.

Seconda parte. Continua…

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