Joker è un antieroe vittima o è un eroe inconsapevole? (allerta spoiler)

Joaquin Phoenix nei panni di “Joker” nell’omonimo film di Todd Phillips. 

Nessuna di queste categorie potrebbe, da sola, delinearne i tratti umani, spiegare la complessità della storia di Arthur Fleck (Joker), giustificare cadute e ribellioni. E, tuttavia, insieme, danno senso a un’esistenza segnata da sofferenze, solitudine, e assenza di relazioni.

Ho provato empatia per Fleck durante tutta la proiezione perché il suo vissuto può solo essere accolto e compreso in tutta la sua nevrosi e attraverso la sua nevrosi. Quando, per il suo disturbo psichico, dovuto a una sindrome neurologica, ride compulsivamente, sguaiatamente, in realtà sta piangendo, e urlando il suo disagio. Questo suo dolore interiore, che esprime con un ghigno incontrollato, convulso, accentuato dal disprezzo di chi non si sforza nemmeno di comprendere, l’ho interiorizzato per tutta la durata del film. Uno stato d’animo che il regista ha saputo enfatizzare con la scelta delle musiche, con la contrapposizione dei toni di luce e di colore, dove la semi oscurità giallastra degli interni fa a pugni con la possente illuminazione di una città illuminata come Gotham City. Contrasti che danno l’ampiezza della disparità sociale tra le élites e i più poveri, che vivono nei luoghi più bui. E sono proprio i contrasti tra luce e oscurità, felicità e infelicità (Arthur Fleck è infelice, ma la madre lo chiama happy), tra giustizia e ingiustizia, benessere e indigenza, malattia mentale e normalità, povertà e ricchezza, che si rivelano essere tra le chiavi di lettura che il regista mi ha consegnato.

L’attore statunitense Joaquin Rafael Phoenix.

Arthur Fleck mi ha commossa anche quando si è trasformato in Joker perché il suo crimine non è fine a se stesso, ma è piuttosto la ribellione a una vita da invisibile, da emarginato, da essere umano senza identità e riconoscibilità, anzi, senza un’identità che non fosse il suo disagio e il motivo del suo isolamento sociale. Nella prima parte della sua esistenza, Arthur Fleck appare come un uomo docile e remissivo, mentalmente disturbato, ma con il sogno di diventare un comico. Quando, però, scopre la verità sulla sua vita, inizia la trasformazione in giustiziere, nel momento esatto in cui uccide la madre. Alza lo sguardo verso una finestra dell’ospedale, ed è in quel frangente che, per la prima volta, la luce del sole lo avvolge, quasi che la costruzione di senso nella sua vita debba passare per l’annientamento di chi è stato o è causa della sua profonda infelicità.

Alcune scene mi hanno colpita per il valore simbolico che vi ho colto. Quando Arthur Fleck subisce la vita senza reagire, sale le scale faticosamente, zoppica con il suo corpo storpiato dalla sofferenza e dall’oppressione. Quando, invece, reagisce, si ribella e lo fa eliminando fisicamente le persone che giudica responsabili delle sue sofferenze o indifferenti nei suoi confronti, il suo corpo si apre e i suoi lineamenti diventano più dolci e distesi. Ed è allora che Joker scende le scale a passo di danza, quasi trionfante, e la luce che lo circonda è diversa. È una luce che illumina la sua discesa, incornicia, prefigura ed esalta lo “spettacolo” che ha sempre sognato di realizzare. Scendere le scale potrebbe voler significare la discesa negli inferi (è vestito di rosso come un demone) oppure potrebbe rappresentare il coronamento del suo sogno, con la sua rivincita e la rivolta dei pagliacci. Joker viene invitato al talk show di Murray Franklin (interpretato da Robert De Niro), e la strage che compie, in diretta, sarà diffusa da tutti i canali televisivi mentre la rivolta incendia la città e fa cadere le sue vittime, istituzionali e non. Sarà ucciso anche il Thomas Wayne, che tanta parte ha avuto nell’inasprimento delle condizioni dei poveri e diseredati, nella grottesca deformazione dei visi e delle esistenze. Todd Phillips è ricorso a simbologie e parallelismi (ma mai a uguaglianze) che ricordano il Joker di Batman, ma facendolo ha cambiato i significati e i significanti contenuti nel fumetto e nel film di Nolan, quasi a voler raffigurare la società odierna che ha perso i valori fondamentali, soprattutto quelli legati alla giustizia sociale, al riconoscimento dell’altro, della sua umanità. La scena in cui il miliardario Thomas Wayne e la moglie vengono uccisi davanti al figlio Bruce ricorda la scena nel film di Nolan.

I superlativi per descrivere la bravura di Joaquin Phoenix non bastano, perché quando corre, parla, resta in silenzio, spalanca gli occhi, dando voce al dramma con la mimica facciale e un corpo che si contorce, supera qualsiasi immaginazione.

Nicoletta Barazzoni

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