La casa di carta… La quarta stagione sta deludendo?

Titolo: La casa di carta (Titolo originale: La casa de papel)
Genere: Drammatico/Azione
Distributore: Netflix
Stagioni: 4

Creato da: Álex Pina
Produttore: Jesús Colmenar
Produttore esecutivo: Álex Pina, Esther Martínez Lobato, Sonia Martínez
Cast: Úrsula Corberó, Itziar Ituño, Álvaro Morte, Pedro Alonso, Alba Flores, Miguel Herrán, Jaime Lorente, Esther Acebo.
Regia: Jesús Colmenar, Alex Rodrigo, Alejandro Bazzano, Miguel Ángel Vivas, Javier Quintas

TRAMA
La prima stagione di questa serie spagnola introduce otto rapinatori che, per circostanze diverse, desiderano o hanno bisogno di soldi. Ognuno di questi viene reclutato da un uomo chiamato “Professore” che da molti anni pianifica la più grande rapina nella storia: introdursi all’interno della Fábrica Nacional de Moneda y Timbre, a Madrid (Zecca Nazionale spagnola), occuparla con ostaggi e cercare di guadagnare tempo sulla polizia per stampare nuovi soldi per sé stessi. In tal modo, non rubano soldi a nessuno, diventano ricchi e guadagnano qualcosa di profondo: il consenso del popolo.

Cast della prima stagione.

ANALISI SERIE LA CASA DE PAPEL
Nelle prime due stagioni vediamo il piano del “Professore” (Álvaro Morte) messo in atto: una squadra di otto criminali da lui reclutati e di cui noi conosciamo solo i nomi in codice – Tokyo (Ursula Corberó), Berlino (Pedro Alonso), Rio (Miguel Herrán), Nairobi (Alba Flores), Helsinki (Darko Peric), Oslo (Roberto García), Mosca (Paco Tous), Denver (Jaime Lorente) – si chiudono, insieme a 67 ostaggi all’interno della Zecca Reale di Spagna e prendono ordini dal Professore che si trova al di fuori in un luogo segreto. Da qui, parte quella che possiamo definire una partita a scacchi che vede da un lato il professore e la sua squadra e dall’altra la polizia con a capo Raquel Murillo (Itziar Ituño).
Ma cosa attrae davvero il pubblico di questa serie? Il gioco che viene messo in atto fin dalla prima puntata, dove ogni mossa è calcolata, ragionata e studiata in ogni minimo dettaglio; ma soprattutto il Professore conosce ogni mossa che verrà fatta dalla polizia e questo porta un vantaggio. Perché ogni buon giocatore sa che se prevedi la mossa del tuo avversario, la partita è tutta nelle tue mani.

Lo spettatore si ritrova a immedesimarsi nei criminali, tifando per il loro successo nella rapina grazie a due mosse specifiche. La prima è che non stanno rapinando realmente nessuna persona fisica, stanno stampando miliardi di euro all’interno della Zecca per poi scappare. La seconda è che fin da subito è chiaro il loro intento di non ferire e/o uccidere nessuno, almeno non intenzionalmente. Anche se poi gli imprevisti ci sono sempre.

Mossa geniale degli autori è sicuramente la scelta della musica e dei costumi che fanno di questa serie qualcosa di riconoscibile a livello mondiale. La tuta rossa e la maschera di Dalì, una scelta a caso? Ovviamente no. Intanto, i rapinatori costringono gli ostaggi a indossare la loro stessa tuta e maschera. In questo modo la polizia non può sparare a nessuno, altrimenti rischia di uccidere realmente qualcuno di innocente. Ma torniamo alla scelta della maschera di Dalì: come mai gli autori hanno scelto proprio lui e non Picasso, piuttosto che un altro artista? In realtà non hanno mai dato una reale spiegazione, lasciando libera interpretazione; anche se si può pensare sia un segno di resistenza, di protesta ma soprattutto “karma”. Dalì infatti, è conosciuto per essere stato grande sostenitore del regime franchista e questo porta a pensare che la maschera sia una dimostrazione, o meglio una dichiarazione: dove si determina una rinascita diversa rispetto a quella di un regime. È una provocazione. Mentre la tuta di colore rosso rappresenta un chiaro status di “reazione/rivoluzione”.

A sinistra Álvaro Morte e Pedro Alonso a destra.

Segno di resistenza è anche mostrato nella musica: dove viene utilizzata la canzone italiana partigiana Bella Ciao. Basta prestare un po’ di attenzione per notare che la canzone viene riprodotta durante i grandi momenti della trama della serie.
Agli spettatori viene mostrata una scena molto forte dove i due fratelli (il Professore e Berlino), la sera prima della rapina cantano i versi della canzone. Tokyo, nelle sue narrazioni, fornisce al pubblico una spiegazione del significato: «La vita del Professore ruotava attorno a un’idea: la resistenza. Suo nonno, che aveva combattuto contro i fascisti in Italia, gli aveva insegnato la canzone e a sua volta il Professore l’ha insegnata a noi», dice il personaggio di Ursula Corberó.
Qual è la reale resistenza che si nasconde dietro quei versi? È la squadra contro i crimini dei banchieri. Quando la canzone viene cantata dai due fratelli, mostra qualcosa di ancora più profondo, è quasi una consapevolezza da parte di entrambi di cosa accadrà o potrebbe accadere in segno di resistenza: il loro sacrificio. Lo sentiamo chiaramente nella voce di Berlino quando canta “… Che mi sento di morir” e nel volto del Professore che quasi non riesce a guardarlo negli occhi.

In questa serie non mancano storie che echeggiano un po’ lo stile telenovela spagnola, a volte cliché. Però, passabili davanti ai punti forti della sceneggiatura delle prime due stagioni.
Meno brillante però è la terza stagione, che pare aggrapparsi un po’ troppo alla scia di successo ottenuta fino a quel momento: una rincorsa a una storia già narrata da due stagioni. Nella terza stagione appare tutto un po’ meno studiato e “campato in aria”, con un Professore quasi amatoriale. Forse per preparare il pubblico a una quarta stagione con colpi di scena? Chi lo sa, certamente si spera non sia un inutile tentativo ad aggrapparsi ad un copione già visto.

La recitazione è davvero impeccabile da parte di alcuni attori come Pedro Alonso e lo stesso Álvaro Morte; resta a mio avviso un po’ troppo spinta con tratti espressivi sempre uguali quella di Ursula Corberó (anche voce narrante), e il cui personaggio (Tokyo) a tratti può apparire fastidioso ed esagerato.

La quarta stagione è già su Netflix. Non ci resta che guardare e valutare se questa serie era meglio fermarla dopo due stagioni o se la scelta di proseguire è stata giusta; perché si sa che a volte bisogna uscire di scena quando si è al top del successo.

VOTI

Recitazione: 7/10
Sceneggiatura, montaggio, regia: 8/10 (1 e 2 stagione); 6.5 (3 stagione)
Musica: 10/10

Maria Elisa Altese

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