La crisi politica ticinese e la necessità di un federalismo strategico

Un Ticino tutt’altro che immobile, ma politicamente in crisi d’identità e che mette in crisi chi ci guarda dall’esterno. Un territorio, a volta ai margini e a volta soffocato, in un campo di forze tra la megalopoli padana e la metropoli svizzera e con le quali non fa sistema. Come abbiamo visto non manca di dinamicità e di caratteristiche proprie. Tuttavia, non si può affermare che vi sia una piena governanza della sua unicità – vale a dire dell’essere terra italofona e di cultura italiana in terra elvetica – e del suo essere differente, quale triangolo transfrontaliero (ben diverso da Basilea e Ginevra) attorniato dallo spazio metropolitano nord-lombardo.

La struttura spaziale della Svizzera.
Fonte: Progetto territoriale Svizzera. Versione rielaborata, ARE, Berna.

In uno scenario esterno di mutamenti incisivi e generalizzati e in quello interno caratterizzato da riassetti verso entità regionali sovra-cantonali, il Ticino degli elettori sta dando una risposta politica piuttosto localista e difensiva mentre l’economia non domestica vive due facce: quella delle risposte imprenditoriali “glocal”, aperte direttamente al globale, e quella di un’economia che di fatto vive una sorta di regime di zona franca, basata sui differenziali di frontiera. Riassumendo, non dobbiamo stupirci di non essere capiti a nord, mentre, a sud, di essere un po’ ignorati come ticinesi e invidiati da svizzeri.

Ma, è proprio così? Non è invece il momento di farci valere in un immaginario strategico di nuove territorialità? Dove per territorialità intendiamo la capacità dinamica di ricercare, su scale diverse, identità plurime ed equilibri tra interno ed esterno? In quest’ultimo caso, le risposte politiche appaiono tendenzialmente contrapposte alle prime. Vale la pena di abbozzare l’esercizio.

Nel nuovo contesto, l’unicità della Svizzera italiana si eleva e comincia ad essere riconosciuta – esemplare è l’attuale conduzione in italiano dei lavori al Nazionale da parte della sua presidente – quale terza componente (e non solo parte) della Confederazione. Cosa importante, sia per il consenso interno sia per identificare la nostra posizione a cavallo delle Alpi e nel cuore dell’Europa. Anche a questo avrà pensato il presidente uscente dell’USI quando ha lanciato l’idea di portarla allo statuto di Scuola federale, sulla falsariga di quanto avvenuto con il Politecnico di Losanna. Questo è l’immaginario dell’associazione “ProGottardo, ferrovia d’Europa” quando rivendica, con l’appoggio di oltre 11’000 firme e di tutti i partiti giovanili, il completamento di AlpTransit da frontiera a frontiera. E potremmo continuare. Per esempio, immaginando un riposizionamento della politica federale culturale e linguistica, entro la quale noi possiamo dare molto di più appena ci lasciassimo cercare (e tradurre non solo in campo letterario). E che dire dei media? Il Ticino e la Svizzera italiana da sole non potranno reggere a lungo senza riassetti strategici e risorse in risposta ai mercati regionalizzati d’oltre San Gottardo.

Passando all’asse transfrontaliero, al nostro essere differente, dobbiamo essere coscienti che a termine saremo più forti tanto più avremo un’organizzazione territoriale e un tessuto culturale, economico e sociale meno distorto dal confine e, al contrario, dialogante e sinergico nelle specifiche forme di complementarità. Intanto, continuano i segnali di introversione. In giugno, e la cosa sta passando inosservata, la RSI chiuderà la distribuzione digitale terrestre. Perderemo così anche quella parte dei comuni limitrofi finora ancora inclusi per lo sforamento del segnale. Più in generale, lasceremo soprattutto decine di migliaia di lavoratori frontalieri e le loro famiglie considerare il Ticino solo per i cantieri o le quattro mura di un posto di lavoro; terra ospitale sì, ma anche terra sconosciuta quanto, talvolta, subdolamente ostile.
Il Ticino dovrebbe uscire dall’opportunismo ed avere il coraggio di definire finalmente delle linee guida e una strategia costruttiva per i nostri rapporti, sia con i nostri vicini insubrici, sia rispetto al gigante metropolitano. Non che manchino, quasi di soppiatto, buoni esempi. Occorre tuttavia essere reciprocamente consapevoli delle enormi diseconomie dei costi della non-cooperazione. Se a livello federale si seguisse il Concetto CH-2030 per lo sviluppo territoriale, la Confederazione stessa dovrebbe riconoscere le necessità infrastrutturali e di risanamento di impatti ambientali e territoriali, frutto di devastanti sovrapposizioni di effetti frontiera non governati. Per esempio, modificando i criteri della perequazione finanziaria e/o dotandoci di strumenti per una politica d’armonizzazione transfrontaliera. Non si tratta infatti solo di una questione locale, ma anche di coesione nazionale e del nostro essere in Europa. E’ solo un capitolo di un ripensamento del nostro federalismo in chiave strategica, interna ed esterna. Sono interrogativi che già si erano posti nella terza Conferenza nazionale sul federalismo (Mendrisio, 2011).

Remigio Ratti

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