La democrazia è morta. Viva la democrazia.

Patibolo davanti al Campidoglio USA

6 gennaio 2021: patibolo issato davanti al Campidoglio USA.

La fine della presidenza Trump, col suo tragico epilogo insurrezionale a Capitol Hill, ma soprattutto la conseguente decisione dei padroni dei social network di sospendere in modo definitivo ogni account riferibile al presidente degli Stati Uniti, pone una nuova e inquietante questione: il modello democratico, così come lo conosciamo, sta crollando?

Non c’è ombra di dubbio che stiamo assistendo a un momento epocale, di quelli che finora abbiamo letto soltanto sui libri di storia. Tutto sta cambiando e nulla sarà più come prima: la società e i confitti (la terza guerra mondiale a pezzi…); l’economia che trasforma il lavoro (migliaia di professioni scompaiono, altre, mai immaginate, nasceranno); il cambiamento climatico e il rispetto verso un ambiente maltrattato. Anche i sistemi politici e i modi di governare subiscono un mutamento radicale: le forme e i modelli che conosciamo si stanno modificando, diventando qualcosa di inedito e indefinibile.

Per fare un paio di esempi, chi l’avrebbe mai detto che il comunismo sarebbe diventata la peggior forma di capitalismo mai teorizzata come avviene in Cina? Chi avrebbe scommesso che un regime assolutista russo potesse diventare il modello idealizzato da sovranisti e nazionalisti occidentali? Come è possibile che nel cuore del Paese democratico per eccellenza, un manipolo armato di pistole e mitragliatori dia l’assalto al simbolo stesso della democrazia parlamentare, come avvenuto a Washington?

Stiamo assistendo, insomma, ad una modifica profonda di tutto ciò che davamo per scontato. E non sappiamo ancora come chiamarlo. In gioco c’è il controllo del potere e la manipolazione delle masse. Proprio la vicenda che ha visto protagonista Donald Trump, può essere di insegnamento. Istigatore di violenze e rivolte, ha indotto i controllori della comunicazione a reagire e a bandirlo dai social media. Facebook e Twitter hanno bloccato il suo profilo, seguito a ruota da New York Post e Wall Street Journal che hanno censurato i suoi interventi. In seguito si sono accodati Apple, Google e Amazon, zittendo la piattaforma Parler, sulla quale si erano riversati lo stesso Trump e i suoi sostenitori.

Alla fine, coloro che hanno permesso negli ultimi quattro anni di diffondere false notizie, offese e incitamenti all’odio senza muovere un dito, si sono trasformati in paladini dell’ultima ora, negando la parola e autonominandosi inquisitori.

Proteste dei manifestanti pro-Trump davanti al Campidoglio.

Ora, la questione non è se è lecito o no che un imprenditore privato limiti l’accesso ai suoi prodotti ad alcuni clienti che hanno accettato le norme di comportamento, ma piuttosto sul grado di potere e di controllo che queste piattaforme hanno su tutti i cittadini, compreso il presidente degli Stati Uniti d’America democraticamente eletto e in carica.

Un potere e un controllo costruiti nel tempo, offrendo accessi gratuiti in cambio di informazioni su dati e preferenze personali che diventano ora possibilità di influenzare le decisioni indicando chi è nel giusto o nell’errore, chi votare o far perdere, chi premiare o sanzionare.

È chiaro che far tacere il mandante di un crimine – tale è stato il tentativo di golpe – è cosa buona e giusta. Ma se fosse avvenuto il contrario? Se invece di bloccare il profilo di Trump avessero bloccato quello di Obama o di Biden perché offensivi nei confronti della massima carica istituzionale americana, cosa diremmo oggi? Dal punto di vista del potere e dell’influenza sulle masse non cambierebbe assolutamente nulla. Rimarrebbe una sola persona a decidere dalla sua scrivania all’ultimo piano di qualche grattacielo d’affari, senza che nessuno possa interferire su questa scelta.

Non è forse il segnale che il potere mondiale non è più nelle mani di governi scelti dal popolo, ma in quelle di una stretta cerchia di amministratori delegati di società e piattaforme che da tempo ormai controllano le masse, le condizionano, le dirigono attraverso l’uso spudorato e senza scrupoli di dati e di informazioni che tutti noi offriamo gratuitamente collegandoci quotidianamente con i nostri smartphone e computer.

Polizia antisommossa e manifestanti fuori dal Campidoglio.

Non siamo complottisti e non stiamo ipotizzando una Spectre che si riunisce per il controllo del mondo. Siamo però preoccupati perché le decisioni dei rappresentanti che ci siamo scelti hanno in realtà sempre meno influenza rispetto a quelle prese da un momento all’altro, secondo il proprio umore, da Mark Zuckerberg o Rupert Murdoch, Jeff Bezos o Bill Gates. Perché come oggi è Trump, domani potrebbe essere chiunque altro. E a decidere saranno solo i boss di Amazon e Google, Tesla o Microsoft (per non parlare di Alibaba o Hauwei, nel misterioso mondo orientale).

È un tema vasto, che apre scenari inquietanti su molti fronti: dal commercio alle telecomunicazioni; dalla finanza alla filantropia; dai trasporti al diritto di parola. È la nuova classe dirigente che avanza, e che instaura un nuovo modello di sistema politico. È l’evoluzione di sistemi di dominio che si sono da sempre imposti nella storia dell’umanità, che ha conosciuto imperi e monarchie, dittature e totalitarismi, nazionalismi e democrazie. Il futuro che si intravvede è ora nelle mani di oligarchie sovranazionali, guidate da multimiliardari che fanno solo il proprio interesse.

A meno che non vi sia una reazione da parte della politica vera, quella realmente democratica, che metta sotto controllo questo sistema imponendo regole finora ignorate. L’Europa – ora che gli Usa devono ricostruire un paese e un consenso ormai a pezzi – ha un ruolo decisivo in questo senso. Fissando regole e leggi che possano fare gli interessi di tutti e non di qualche manager aziendale. Ridando forza e dignità ad un sistema democratico che si è tentato di distruggere.

Luigi Maffezzoli

n/a