La ricchezza della Biblioteca del Bigorio ora disponibile alla popolazione. A colloquio con Luciana Pedroia

La biblioteca del Convento di Santa Maria del Bigorio, fondato nel 1535, si è formata ed accresciuta nel corso dei secoli ed è tuttora conservata in una saletta, con l’originale arredo in legno del Settecento, al piano superiore del convento.

La comunità dei Frati Cappuccini e l’Associazione Amici del Bigorio hanno promosso la catalogazione digitale di questo patrimonio librario antico che conta più di 4000 volumi, che costituisce un interessante esempio museale di biblioteca cappuccina e che merita di essere conosciuto, valorizzato e tutelato.

Il lavoro di catalogazione è stato affidato al Centro di competenza per il libro antico della Biblioteca Salita dei Frati di Lugano nel 2015 ed è stato ultimato alla fine del 2018. Luciana Pedroia, che ha coordinato i lavori, ci spiega quanto fatto:

Signora Pedroia, 4 anni di lavoro sono tanti. Quali difficoltà ha presentato il lavoro?
“Va forse chiarito che negli ultimi quattro anni non ci siamo occupati solo della biblioteca del convento di Bigorio. Il progetto che abbiamo presentato nel 2014 all’Associazione Amici del Bigorio è stato suddiviso su 4 anni sia per una esigenza nostra, per poter portare avanti contemporaneamente anche le altre attività del Centro di competenza per il libro antico, sia per permettere all’Associazione di reperire più facilmente i mezzi finanziari”.

“Negli ultimi anni abbiamo assunto altri progetti. Abbiamo in corso la catalogazione di un fondo librario molto più grande, quello della biblioteca della Madonna del Sasso di Orselina e di uno più piccolo, la biblioteca dell’abate Fontana di Sagno. Lavorando su più progetti insieme, e occupandoci poi ovviamente anche della gestione dell’attività della Biblioteca Salita dei Frati, era indispensabile diluire il lavoro su più anni. A dire il vero la principale difficoltà è stata ed è tuttora proprio quella di armonizzare l’attività e di riuscire a rispettare i tempi previsti per ogni progetto”.

Il lavoro è stato svolto anche grazie a collaboratori scientifici Laura Luraschi, Jean-Claude Lechner e Roberto Garavaglia. Come vi siete suddivisi i compiti?

“La suddivisione dei compiti riguarda, più che le fasi della catalogazione, i singoli progetti, per i quali in genere un collaboratore assume la principale responsabilità. Uno degli aspetti pratici del coordinamento concerne il trasporto dei libri dalla sede di conservazione, in questo caso a Bigorio, fino a Lugano, presso la Biblioteca Salita dei Frati. Per questo ci siamo giovati della preziosa collaborazione della Protezione civile di Lugano Città”.

“Per i collaboratori che catalogano il libro antico (ma anche moderno), il requisito della formazione biblioteconomica è indispensabile. Il catalogo online crea un sistema di informazioni garantite che permettono una ricerca indicizzata da più punti di accesso. Si possono cercare i libri per autore, ma anche per titolo, per editore, per anno di edizione. Anche per poter rispondere a queste necessità, la catalogazione del libro antico prevede un protocollo descrittivo più approfondito rispetto al libro moderno. Gli autori, i luoghi di edizione, gli stampatori, e spesso anche i titoli, sono ripresi nella notizia bibliografica sia così come letti sul frontespizio del libro, sia poi anche indicizzati secondo una forma normalizzata, ricorrendo ai repertori bibliografici e soprattutto ai cosiddetti Authority files (ad esempio il GND (Gemeinsame Normdatei)  o il Thesaurus del Cerl”.

“Inoltre per il libro antico non viene descritta solo l’edizione, ma anche l’esemplare che si ha in mano, e quindi si rilevano tutti i segni di provenienza, timbri, ex-libris, note manoscritte di possesso. Anche i possessori precedenti vanno poi identificati e indicizzati”.

Che tipo di competenze richiede pertanto un lavoro simile?

“Le competenze sono sia tecniche che culturali. A volte mi sembra che non si finisca mai di acquisire la necessaria esperienza. Per alcuni settori del libro antico, come ad esempio per i libri editi nel XV secolo, c’è una bibliografia vastissima, molti repertori di riferimento, molti esemplari di edizioni già digitalizzate che sono di sussidio per identificare e catalogare l’esemplare che si ha in mano. Questo aiuta molto, mentre invece per altri settori e secoli della storia tipografica si è più sguarniti. Inoltre in certi casi ci vuole tempo e ricerche per catalogare correttamente, ad esempio quando ci si ritrova con volumi che hanno perso il frontespizio, oppure con opere in più volumi che sono stati rilegati insieme utilizzando esemplari provenienti da edizioni diverse. Descrivere questi aspetti tramite la catalogazione non è uno sfizio del bibliotecario, è invece importante per permettere un censimento completo degli esemplari di una data edizione di un testo”.

Cosa avete scoperto durante la catalogazione? Che tipo di materiale possedevano i frati?

“Il rapporto dei Cappuccini con i libri è un rapporto complesso e ambivalente fin dall’inizio, fin dalla nascita dell’ordine nel 1528. Ci sono molti studi al riguardo. Detto in due parole e semplificando: come ogni altra riforma dell’ordine francescano, anche quella cappuccina portò con sé una diffidenza iniziale verso gli studi, visti come la causa principale della rilassatezza della disciplina religiosa. Gli studi potevano essere causa di superbia. Per evitare una infrazione alla regola della povertà, le prime Costituzioni o meglio Ordinazioni dell’ordine, dette di Albacina, del 1529 consentivano l’uso di libri in funzione strettamente strumentale alla vita devozionale, all’azione liturgica e alla predicazione, con l’espressa esclusione di ogni altro testo: “si leggano soltanto la sacra Scrittura e altri devoti autori”. Nel corso dei secoli ovviamente la situazione si è evoluta, ci si è accorti che per la formazione dei frati non bastavano i libri devozionali, ci voleva anche la teologia, e in seguito nelle biblioteche cappuccine è entrata anche letteratura non religiosa. Ma se esaminiamo il fondo antico della libreria del Bigorio alla luce della catalogazione ultimata, possiamo dire che, nei secoli, i Cappuccini del Bigorio hanno rispettato pienamente la legislazione dell’ordine: più dei due terzi della collezione libraria è costituito da libri di argomento religioso, e tra questi prevalgono non tanto gli studi teologici, ma i sussidi per la predicazione e i testi devozionali”.

C’è un aspetto del materiale che vi ha colpiti e che varrebbe la pena studiare, approfondire?

“Un aspetto sicuramente da approfondire è quello della presenza nella biblioteca conventuale di testi ed edizioni rare. Proprio all’interno del settore dei testi di spiritualità abbiamo fatto, mi sembra, le scoperte più interessanti. Alcuni esemplari del Bigorio sono molto rari, anche se probabilmente all’epoca erano di grande circolazione. Cito ad esempio l’edizione dello Specchio di perfezione del francescano Henrik van Herp, uscita a Mantova per l’Osanna, nel 1602, oltre che al Bigorio si trova in sole due biblioteche italiane. Un altro testo raro, conservato in un solo esemplare in Italia, ma in un’altra edizione, è poi il libro del cappuccino Mattia Bellintani da Salò (un autore da best-seller all’epoca), si intitola Utili ricordi et rimedi per quelli che dalla giustitia sono a morte condannati, edito da Bernardino Lantoni nel 1614. Si tratta di un esempio molto evidente di un dato conosciuto agli studiosi della circolazione libraria, ma di cui ci si dimentica spesso: ci sono libri che all’epoca in cui sono stati pubblicati erano molto diffusi, che circolavano ed erano letti, ma che sono sopravvissuti in pochissime copie. Che siano stati letti lo dimostrano anche gli esemplari del Bigorio, spesso con tracce evidenti d’uso. Hanno un aspetto molto modesto, sul mercato antiquario forse non troverebbero molti estimatori, ma sono testimonianze preziose dal punto di vista storico, culturale e sociale. È evidente che il cambiamento di mentalità e sensibilità religiosa li ha destinati ad essere dimenticati e l’aspetto tipografico non ne ha favorito la conservazione. Quando il libro viene considerato solo per il testo che veicola, e il testo diviene obsoleto, il libro è a rischio per quanto riguarda la conservazione”.

“Per questo siamo molto contenti ed anche orgogliosi di aver potuto portare a termine questo progetto di catalogazione: la conoscenza del materiale posseduto favorisce la salvaguardia di questi libri, ne permette lo studio e quindi la valorizzazione. Valorizzazione che non va intesa nel senso di mercificazione, che impone di dare ad un oggetto antico, a un libro antico in questo caso, un valore monetario, e considerarlo poi per quanto vale sul mercato. Valorizzazione nel nostro ambito vuol dire accrescere la conoscenza, dare un senso a quanto si è conservato sul nostro territorio. Vuol dire anche rendere noto a tutti, e non solo ai pochi fortunati che studiano per mestiere e per passione i libri antichi, che il tale libro si trova al Bigorio e può essere consultato se si vuole”.

Come Centro di competenza per il libro antico, attualmente vi occupate anche di altri lavori simili? Vi è stato commissionato altro per il futuro?

“C’è un progetto che ci sta a cuore e che vorremmo tanto poter avviare: la catalogazione della biblioteca del convento dei Cappuccini di Faido. Si tratta di un fondo librario molto interessante, paragonabile per entità a quello del Bigorio. Poter inserire anche i libri di Faido nel catalogo online del Sistema bibliotecario ticinese, significherebbe prima di tutto facilitarne la salvaguardia come collezione libraria, favorirne la conoscenza, e restituire una immagine più completa e veritiera del patrimonio bibliografico conservato da istituzioni religiose del nostro territorio.
Come Centro di competenza per il libro antico abbiamo poi in preparazione un progetto che riguarda i frammenti di manoscritti medievali che si ritrovano conservati come materiale di riuso in legature di libri a stampa o di materiale d’archivio”.

L’opera di catalogazione sarà presentata ufficialmente al pubblico ticinese sabato prossimo, 11 maggio, al Bigorio alle ore 17.

Laura Quadri

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