La sovrabbondanza della vita: Mario Soldati

“Tutta la vita è un dono misterioso. Misurarlo mi sembra un’empietà” (Mario Soldati, La sposa americana)

Un Giorgio Orelli giovanissimo che intervista un Mario Soldati 57enne, nel 1963; quindi, un brillante Cesare Garboli nelle vesti di giornalista, questa volta nel 1971, per la rubrica “Incontri, fatti, personaggi”. Anche questa volta, sono davvero invitanti, ricchi, stimolanti i documenti audiovisivi che la RSI rivela dai suoi archivi e che per la prima volta espone al pubblico nel contesto di “Archivi del Novecento”, iniziativa voluta da Rete Due in collaborazione con l’Istituto di Studi italiani dell’USI. Questa sera, a presentare la figura di Mario Soldati, il prof. Giacomo Jori, che si è occupato a lungo dell’autore, curandone anche testi inediti e rari.

Apparentemente emerge da subito un profilo chiarissimo di Soldati, come colui che “a un livello altissimo, ha fatto tutto prima: è tra i primissimi registi a fare cinema – un cinema popolare, alla Hitchcock – e i suoi film sono tra i primi trasmessi alla tv; è ugualmente giovanissimo quando poi esordisce come scrittore di teatro, con Pilato, nel 1925”. Un inizio precoce per un lavoro che durerà tutta la vita: El Paseo de Gracia è del 1987; con la sua opera Soldati è dunque protagonista di un intero secolo. “Così – mette in evidenza il prof. Jori – oltre che grande narratore, egli è anzitutto testimone dei decenni più cruciali della storia italiana, vissuti sempre da protagonista, con una coscienza critica, anche da moralista”.

Ma la sua figura pone anche degli interrogativi ed è molto più irriducibile e complessa. Egli, agli occhi dei più, appare infatti come personaggio, non come scrittore. Una consapevolezza che esce bene nell’articolata intervista di Garboli, “un’inquisizione affettuosa”, come la titolerà lui. Un’intervista che anzitutto commuove per l’immagine che Soldati traccia di Lugano: egli ricorda con commozione quando, dal confine italiano, dove si trovava per girare i suoi film in tempo di guerra, ammirava la sera le luci accese della sponda svizzera, segno di “democrazia, libertà, ma soprattutto pace”. La Svizzera era l’isola di pace sognata da chi si trovava nel dramma della guerra. Una percezione che Soldati porterà sempre con sé, che amerà ribadire e che a Lugano lo farà sentire sempre benvenuto. Ma ecco che Garboli accenna al punto che gli sta a cuore affrontare in compagnia del suo interlocutore: “Per me sei un caro, illustre, amico ma vorrei che fossi un po’ meno illustre”. L’essere illustre – intende sottolineare Garboli – mette infatti spesso e volentieri in ombra la sua qualità di scrittore e intellettuale. Ma Soldati, con molta autenticità, ammette: questa è la fama che mi permette, dal punto di vista economico, di sopravvivere, e – avverte il prof. Jori – “viene così tematizzata la questione alla radice della crisi culturale italiana”. La vicenda di Soldati è cioè sintomatica di quel mancato sostegno alla cultura che avrebbe poi caratterizzato in modo crescente l’Italia dei decenni successivi, a meno di non essere, appunto, dei “personaggi” conosciuti.

Ma l’essere personaggio di Soldati (“showman”, come lo avrebbero addirittura definito al Premio Campiello) e attore di se stesso può celare una profondità inaspettata. È ancora Garboli, nell’intervista a rilevare il fatto: l’essere attori, personaggi, cela in fondo un “sentimento religioso dell’esistenza”. È un ragionamento complesso e sofferto: “l’attore è colui a cui il proprio io non basta, un io che avverte la sua insufficienza davanti alla pienezza della vita”. L’attore, dunque, come una vocazione in fondo religiosa, la vocazione di chi si sente piccolo e inferiore davanti alla vastità della vita. Soldati e la sua eredità sono anche questo: testimonianza di una vita che ci supera. Un autore che sognava anche, tra l’altro, la congiunzione tra l’élite e la cultura del popolo, come quando consigliava la lettura dell’Orlando Furioso, per la sua “travolgente umanità”. E umano, profondamente umano, è parso a tutti Soldati dalle testimonianze emerse in questa altra preziosa serata, che riconferma la RSI, grazie ad iniziative come “Archivi del Novecento”, un’istituzione culturale che permette, come ha voluto sottolineare Giacomo Jori citando Carlo Piccardi, “di fuggire la provincia senza emigrare”.

Prossimo appuntamento con la serie “Archivi del Novecento” mercoledì 17 aprile alle 18 in Auditorium USI, con il prof. Corrado Bologna che presenterà Leonardo Sciascia.

Laura Quadri

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