La Tristura, che ha chiuso il FIT, sulle tracce della memoria
Celso Giménez avant’ieri ha concluso uno stimolante seminario indirizzato a attori e performer svizzeri e stranieri, laboratorio gratuito che da cinque anni LAC-Edu garantisce nei giorni del FIT festival e che rappresenta un momento di formazione di altissima qualità. I sedici artisti venuti da ogni dove sono stati condotti da Giménez all’interno del suo personalissimo processo di creazione che, badate, si inscrive all’interno del “nuovo” teatro performativo, contemporaneo, e in questo caso (ma le eccezioni sono rarissime) anche autobiografico. Perché Celso Giménez é arrivato a Lugano principalmente per mostrare al pubblico della Svizzera italiana Cine, il nuovo spettacolo concepito insieme al suo collettivo teatrale La Tristura (riuscito gioco di parole che in spagnolo “fa rima” con tristezza).
In concomitanza con la 28ma edizione del festival, i promotori del FIT hanno fatto centro invitando in doppia veste (pedagogica e squisitamente artistica) la compagnia basata a Madrid, oggi percepita come una delle realtà più avvincenti e all’avanguardia del teatro contemporaneo iberico dell’ultimo decennio. La Tristura, a dispetto della giovane età dei suoi membri, in quindici anni di storia ha saputo approdare a una propria peculiare cifra poetico-espressiva e sono parecchi i critici che accanto a Giménez & Co. hanno accostato nomi quali Robert Lepage, per l’atmosfera del road-movie, o Milo Rau, per l’aspetto documentario, e la lista è lunga e fitta di nomi che hanno fatto grande il cinema e il teatro nel secolo precedente il nostro.
Torniamo a ieri e torniamo a Cine: il palco del LAC appare diviso in due, almeno per tre quarti dello spettacolo: da una parte il pubblico, dall’altra parte i performer; a dividerli uno schermo cinematografico di plastica trasparente. Un riparo dalla finzione o dalla verità? Entrambe, forse, visto che l’indagine qui sembra interessare un territorio ibrido. Nel prologo a opera del regista scopriamo che Pablo, il protagonista di Cine, è un amico della compagnia, un uomo reale, non immaginato. Un trentenne adottato ancora bambino e che a un tratto, da grande, si è messo sulle tracce dei suoi genitori naturali: un tema solo apparentemente ordinario, visto che dona ai due registi Itsaso Arana e Celso Giménez l’occasione di ricordare la tragedia dei circa 300mila bambini che in era franchista vennero rapiti in Spagna. Rapiti e… riattribuiti, naturalmente. Una pagina dolorosa e sorprendentemente rimossa dalla memoria collettiva che non cede al pathos o alla denuncia a senso unico. Soprattutto una macchia di cui non si parla, soprattutto non se ne parla in Spagna (in questo senso le differenze con il caso argentino dei desaparecidos è eclatante).
Non siamo reporter – hanno dichiarato i due – né giudici, il nostro compito è quello di dare voce a questa storia, creando immagini e testi e amplificandola con il nostro linguaggio performativo. Che ci appare molto, molto cinematografico, e non certo per il simil-schermo che taglia il palco in due, qui parliamo proprio di ritmo e di costruzione scenica, oltre che drammaturgica. C’è un Pablo musicista che gira l’Europa in treno alla conquista della verità. Con una girandola di personaggi (coadiuvati da cinque teneri bambini ticinesi istruiti per l’occasione) che ostacolano o sostengono il percorso dell'”eroe” in cammino. Giménez è abile e sensibile nel muoversi da un registro macro storico a uno intimo, piccolo, quello del suo amico Pablo, di cui peraltro non rivelerà mai la vera identità.
Uno spettacolo che è nato da una confessione, quella di Pablo ai ragazzi de La Tristura, appena qualche anno fa. E rivelando questo segreto, “Pablo” ha investito la compagnia di una grossa responsabilità: abitare quell’oscurità, penetrarne il segreto, sospendendo il giudizio sull’omertà che porta inevitabilmente con sé. A margine dello spettacolo Celso Giménez, sollecitato dal pubblico in sala, ha descritto il suo paese, la sua Spagna del 2019, una società terribilmente in ritardo nel recupero della memoria (gli episodi dei bambini rapiti coprono almeno un cinquantennio: dagli anni Trenta agli Ottanta). Approccio oscurantista sotto alcuni aspetti opposto agli episodi argentini, ma (anche qui) le implicazioni politiche erano e restano innumerevoli. Un teatro politico. Come lo fa Giménez.
Margherita Coldesina