L’attentato fallito a Hitler: sono passati 75 anni

 

Era il 20 luglio del 1944 quando il colonnello Claus Schenk Graf von Stauffenberg riuscì a depositare una bomba nella sala delle conferenze a Rastenburg, l’obiettivo? Uccidere Adolf Hitler. Sono passati 75 anni.

Il mondo, ma in particolare l’Europa e la Germania erano ben consapevoli che il nazionalsocialismo era per certo un nazionalismo e per nulla un socialismo: non si cercò mai di promuovere radicali riforme sociali, la ferocia razzista si manifestò senza discriminazioni e la persecuzione antisemita fece perdere alla Germania alcuni dei più grandi scienziati tedeschi (tra cui Einstein). Nel 1941 era chiaro che Hitler avesse perso qualsiasi contatto con il popolo il suo interesse era soltanto di tipo militare, il suo quartier generale era nella Wolfsschanze, la tana del lupo, a Rastenburg nella Prussia orientale. Ormai in piena Seconda guerra mondiale, il führer non mostro mai nessuna volontà di andare a visitare le città bombardate, o di abbreviare le sofferenze del popolo con una pace che, dopo il massacro di milioni di Ebrei e le esportazioni compiute in tutta Europa, poteva portare solo al crollo del nazionalismo. Hitler aveva commesso una tragedia irreparabile, e vi trascinò anche il suo popolo.

Hitler era innavicinabile, gli unici ad avere acceesso a lui erano gli uficiali superiori convocati al gran quartiere generale, tra questi il colonnello von Stauffenberg che il 20 luglio del 1944 riuscì a depositare una bomba nella sala conferenze durante una riunione «Eravamo in piedi e Hitler è entrato, e poi la conferenza è iniziata – ha ricordato l’ufficiale dell’esercito tedesco Gen Walter Warlimont in un’intervista alla BBC nel 1967 – All’improvviso la porta si aprì di nuovo, e mi capitò di girarmi, e vidi che era entrato un colonnello … mi fece una profonda impressione, perché il suo occhio destro era coperto da una macchia nera e un braccio fu amputato, e rimase lì eretto, e mi sembrò l’immagine di un soldato classico. Hitler si girò e lo guardò senza alcun tipo di benevolenza».

Il colonnello Stauffenberg venne sempre descritto come un uomo molto bello e affascinante ma nel 1943 fu gravemente ferito mentre prestava servizio in Tunisia, dove perse un occhio, la mano destra e due dita dalla mano sinistra. Sebbene non fosse apertamente politico, Stauffenberg era un conservatore e un nazionalista. A volte, aveva sostenuto le politiche naziste, ma con il progredire della guerra, la sua opposizione al regime crebbe – fu inorridito dalle atrocità tedesche nell’est e dalla consapevolezza che la Germania stava perdendo la guerra.
Mentre si rimetteva dalle sue ferite, Stauffenberg venne avvicinato da un gruppo di cospiratori guidati dalla Gen Henning von Tresckow, che voleva uccidere Hitler e rovesciare il regime nazista. Ben presto il colonnello ne divenne un membro di spicco: dal 1942 al 1943 vennero preparati molti attentati che però dovettero essere annullati all’ultimo momento.
Nel 1944, il prgredire della carriera professionale da colonnello gli diede accesso a Hitler e l’opportunità di realizzare l’assassinio. Nessuno era sicuro della buona riuscita dell’attentato, ma ai fautori questo non importava perchè avrebbe comunque dimostrato al mondo che non tutti i tedeschi erano seguaci di Hitler.

Difatti, Hitler non venne ucciso ma solo leggermente ferito e questo attentato scatenò poi un’ondata di repressioni dall’alto comando sugli ambienti democratici oltre che l’ordine di uccisione dello stesso colonnello von Stauffenberg, lasciando una moglie e 5 figli. In un’intervista con la BBC nel 2014, suo figlio Berthold von Stauffenberg – che al tempo dell’uccisione del padre aveva appena 10 anni – disse: «Mio padre e gli altri cospiratori conoscevano le conseguenze delle loro azioni, ma in tempo di guerra il sacrificio della vita ha un valore diverso rispetto a quando si è in tempi di pace. Sacrificarsi a volte è importante». Oggi il figlio del colonnello è ultraottantenne e spiega «siamo stati educati a scuola a credere che il führer fosse un uomo meraviglioso. Così quando mia madre mi disse che fu mio padre a mettere la bomba… ero sorpreso. Ho chiesto “Perchè l’ha fatto?” E lei mi rispose: “Credeva profondamente di doverlo fare per la Germania”».

L’avanzata dell’Armata Rossa costrinse Hitler a rifugiarsi a Berlino nel novembre del 1944, dove da un bunker sotterraneo della cancelleria diresse le ultime battaglie. Le diverse sconfitte avevano provocato in lui amarezza verso il proprio popolo portandolo a giudicare la Germania “indegna di sopravvivergli” e ordinò delle distruzioni sistematiche che suscitarono la ribellione dei suoi seguaci fino allora più devoti. Nei suoi ultimi giorni Hitler, aveva accanto a sè Goebbels, Bormann e Eva Braun (che sposerà prima di morire). Il 30 aprile 1945, si chiuse nei suoi appartamenti con la moglie, lei si avvelenò e lui si uccise con un colpo di rivoltella in bocca.

MEA

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