Le promesse di “Sonnambuli”

Credito Daniela Banfi.

Ha debuttato ieri Sonnambuli. Il vuoto di te, il vuoto del mio cuore della giovane compagnia milanese Domesticalchimia che ha vinto il concorso 2019 della Fondazione Claudia Lombardi, Testinscena. Tra gli elementi che hanno convinto, il ritmo della scrittura, la bravura degli attori, come ha sottolineato nella presentazione introduttiva Giorgio Thoeni, presidente della giuria. Oltre al copione, i partecipanti al concorso devono fornire infatti anche la registrazione di alcuni minuti della messinscena. Come da regolamento, per la realizzazione definitiva, all’autrice, Camilla Mattiuzzo e alla regista, Francesca Merli, è stata affiancata la drammaturga Francesca Garolla in veste di tutor, un ruolo cioè intermedio che, come ha spiegato, ha il compito di coadiuvare, di trovare le soluzioni migliori, tra il testo e la rappresentazione sul palco, tra la scrittura dunque e l’idea registica. La compagnia ha avuto anche la possibilità per le prove di una residenza sia a Milano, sia nella sede della Fondazione a Càsoro.

Credito Daniela Banfi.

Con qualche ritardo (la pioggia, i posteggi…) quindi lo spettacolo. Si è assistito a questa prima assoluta che vede in scena una coppia d’interpreti, Davide Pachera e Laura Serena, indubbiamente molto bravi, disinvolti, versatili nel rendere le molteplici sfumature emotive, i continui, repentini, cambi di situazione che lo sviluppo dell’atto unico richiede, in una recitazione sempre in bilico tra straniamento e realismo. Thoeni, tra i riferimenti di cui si nutre il testo, aveva citato Ionesco ed è infatti la presenza fin troppo palese, al limite della scopiazzatura, evidente sia nei dialoghi improntati all’assurdo con quell’accenno persino grammaticale, sia anche nell’impianto dell’azione, in particolare nella circolarità che riannoda la fine con l’inizio, come se tutto fosse destinato sempre ritualmente a ripetersi, perché è questo l’inferno dell’essere sociale umano, secondo quelle avanguardie.

Non è la storia di una relazione di coppia, una coppia che cerca di ravvivare la banalità asfittica della routine, l’impossibilità comunicativa, con giochi perversi come l’asfissia da sacchetto di plastica, le finte morti, oppure erotici come l’immaginazione sessuale o ancora, da ultima spiaggia per vincere la noia, come i balletti stile cheerleaders (con esiti coreografici grotteschi, tra le ossessioni di lei, la goffaggine di lui per una rivisitazione tragicomica). In realtà, questa è la storia di una follia che s’impossessa della mente della donna (le scene iniziali e finali si riferiscono alla dialettica con uno psicologo che assume poi il ruolo del compagno). Lei vive nel tormento di una classica tragedia autobiografica da cui non è riuscita a liberarsi, la morte del padre per un incidente domestico nello scantinato, filo conduttore che ritorna continuamente e simbolicamente attraverso un fantasioso biliardo e quel fantomatico rumore prodotto dall’inquilino del piano di sotto, fonte anche dei continui battibecchi. La liberazione avviene con violenza catartica. In scena appare un coltello, sinistro emblema, che ad un certo punto sarà utilizzato, dalla morte fantasticata a quella realizzata, punto di non ritorno. Molti gli echi che privano in fondo questa struttura di una vera originalità e, quando il ritmo ben sostenuto sfocia in un eccesso di iterazione, finiscono per generare una certa monotonia nelle numerose e apparenti conclusioni. Insomma, diversi chiaroscuri per una messinscena che promette più di quanto riesca a mantenere. Nonostante l’indubbia qualità interpretativa. E lode comunque all’impegno di una giovane e brillante compagnia pluripremiata. Si replica questa sera al Teatro Foce (ore 20.30).

Manuela Camponovo

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