L’intenso monologo di “Mare morto”

L’autore e regista Simone Gandolfo ha ricavato dalla serie documentaria da lui stesso realizzata per TvSat 2000 il monologo Mare Morto che, interpretato da Mirko D’Urso, ha debuttato ieri sera al Teatro Foce di Lugano.  Un autentico gommone su stoffe drappeggiate come onde del mare (e poi diventeranno rosse come il sangue e la violenza o gialle come le dune del deserto…), risolve la pratica e suggestiva scenografia, accompagnata dal rumore dell’acqua. Un uomo, stringendo a sé l’unica creatura che lo spinge a sopravvivere, una bambina che non è neanche sua, inizia a raccontare una storia di violenza, soprusi subiti, cruda e senza appello, sintesi, condensato di tante vicende di ordinaria disumanità. Il massacro della sua famiglia, la casa depredata da cui, seppelliti in qualche modo moglie e figli, ha dovuto fuggire. Sequestrato insieme a tanti altri, ricattato da trafficanti, l’incontro con una donna continuamente torturata e stuprata e alla fine messa incinta, i soldi che poi arrivano, il pericoloso viaggio attraverso il deserto, dove diversi compagni troveranno la morte, fino all’attesa, in Libia, di imbarcarsi e qui il raggio di luce della nascita della piccola. La donna non ce la farà, nella scia di altre morti, perché su quei gommoni assurdi non c’è posto per tutti e lui, nel cerchio che si chiude raggiungendo la scena iniziale, si ritrova solo con la bambina, fino all’arrivo della nave che lo dovrebbe portare in salvo e aiutarlo a ricominciare. In salvo? No, non è una fiaba, non ci sarà un vero e proprio lieto fine.

Il testo raggiunge punte di dolorosa intensità, pur con qualche scontata caduta nella retorica, ma inchioda la platea, soprattutto giovanile, che ha sfidato la neve, per riempire il teatro (e qualche ritardo può essere scusabile). Mirko D’Urso non si risparmia in un tour de force non da poco, un’ora di racconto soprattutto descrittivo, da cui filtra l’emozione per ogni situazione vissuta, con quella semplicità comunicativa che deve saper trasmettere credibilità. È molto più di quello che può arrivare nelle case attraverso un servizio televisivo, perché la parola teatrale trasporta nel qui e ora, al tempo stesso, reale, fisico e simbolico. Quelle torture, quelle ferite nella carne, le morti quando la vita non conta più nulla, ma anche la resistenza, la speranza, si percepiscono, diventano concrete attraverso la voce che veicola le immagini legate ai contenuti narrativi.

Si replica oggi alle ore 20.30 e domani alle ore 16.00, sempre al Foce di Lugano.

di Manuela Camponovo

n/a