Lugano, omelia per la veglia di Pasqua

Qui di seguito l’omelia di mons. Vescovo Valerio Lazzeriper la veglia di Pasqua.

Carissimi, un terremoto non sembra a prima vista annunciare alcun cambiamento positivo. I terremoti, come le carestie, le guerre, i cataclismi e le epidemie, sono sconvolgimenti che mettono a dura prova la tenuta del suolo su cui poggiano i nostri piedi. Quando tutto si muove, emerge l’implacabile verità: niente di ciò che possiamo procurarci, con la nostra intelligenza e con le nostre forze, potrà mai evitarci il confronto con la morte. Eppure, la terra che trema accompagna, nel vangelo, la morte di Gesù in croce. “Un gran terremoto” ha luogo proprio mentre le donne vanno a visitare la tomba di Gesù, “all’alba del primo giorno della settimana” (Mt28,1-2).

La risurrezione di Gesù dai morti è tutt’altro che un ritorno alla normalità. Non coincide con la ripresa della vita e delle abitudini precedenti. Si fa conoscere nella storia umana attraverso il venir meno della stabilità di un mondo fino a quel momento tutto sommato garantito.
Non è mia intenzione proporre rischiose interpretazioni teologiche di quello che ci sta accadendo. Sono sempre un azzardo! È però un fatto che l’annuncio cristiano della Pasqua viene collegato al nostro bisogno di un fondamento ultimo su cui poggiare la nostra vita. Ci parla della radice più segreta del nostro esistere, in discussione a ogni nuovo assalto del male, della malattia, della morte. Cristo, risorto dai morti, inaugura la possibilità di reagire in modo diverso e originale a tutto ciò che rivela la fragilità delle nostre difese.

È evidente il contrasto che si viene a creare davanti al sepolcro vuoto. Ci sono i soldati, messi lì per controllare la sepoltura. Sono l’emblema della forza, della nostra illusione di poterci tenere separati dalla morte e dal suo arrogante potere. Le guardie, però, vengono travolte da ciò che accade: “Per lo spavento… furono scosse e rimasero come morte” (Mt 28,4). Sull’altro versante, invece, ci sono le donne disarmate e inermi, prive di ogni ragionevole aspettativa. Ora, proprio a loro sono rivolte le parole dell’angelo: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto”(Mt 28,5-6).

Così  due  strade  si  aprono  a  Pasqua: da  un  lato, quella  di  chi  tenta, con tutti i mezzi, di tenere insieme un mondo che crolla, un ordine di cui vediamo moltiplicarsi le crepe e le inconsistenze; dall’altro, la via di coloro che aprono finalmente gli occhi su un vuoto che comincia a parlare, su un’assenza rivelatrice di una nuova presenza: “Venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto” (Mt 28,6-7).

Ve l’ho detto”. Colpisce questo modo di rafforzare l’avvenuta trasmissione del messaggio. È il modo di farci capire che non dobbiamo aspettarci nulla oltre l’annuncio. Non sono da attendersi ulteriori prove o dimostrazioni per mettersi in cammino, per dare un nuovo orientamento ai nostri passi, ai nostri propositi e ai nostri desideri più profondi. Il senso dell’impresa della nostra vita si decide dentro, a partire dal nostro intimo desiderio di vivere, di lasciarci la morte alle spalle, di non lasciarci imporre la disperazione da fuori.

“Siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui…”. Così, siamo “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,8-9).

Questa è la nostra intima convinzione di cristiani! Questo è ciò che abbiamo da dire al mondo! Certo, insieme a tutti, nutriamo il legittimo desiderio che cessi l’incubo della pandemia che sta assediando le nostre vite. Sentiamo quanto ci mancano tante cose, che eravamo abituati a dare per scontate. Le diverse restrizioni di questi giorni ci fanno desiderare la normalità, che davamo per assicurata.

Facciamo attenzione, però! Non coltiviamo banalmente il sogno di tornare quelli di prima, di riprendere le vecchie abitudini. Il terremoto che abbiamo vissuto, e che stiamo ancora in gran parte vivendo, ci fa intuire che c’è ben altro a cui siamo chiamati, che gli squarci aperti nel nostro sistema difensivo, non sono da sigillare. Lasciamo trapelare una luce che ci fa guardare avanti, fino a lasciarci inondare dal fulgore del Vivente, del Cristo, risorto dai morti. Egli ci sta già venendo incontro e si presenta a noi per strada. Non trasmette messaggi strani, ma ci rassicura e conferma il camminosu cui abbiamo già cominciato a muoverci, non più come individui isolati, ma orientati agli altri, già riconosciuti come fratelli e sorelle di Lui.

La nostra veglia pasquale quest’anno è spoglia. Non abbiamo potuto benedire il fuoco, entrare numerosi in processione con il cero acceso, cantare l’alleluia in assemblea, gioire di nuovi battezzati. La maggior parte di voi, che mi state ascoltando e vedendo, vive questo momento dalla propria casa, nel contesto del suo vivere ordinario, terremotato dal virus. Non è il modo con cui avremmo voluto celebrare la festa. È però la maniera reale con cui il Cristo risorto entra oggi nel buio delle nostre tenebre e ci offre l’alternativa vera, salda e sicura, a una vita dominata dall’ansia e dalla preoccupazione per il futuro.

Il punto da cui possiamo ripartire insieme, come Chiesa e come collettività umana, è già dentro di noi. Già siamo in contatto vivo con esso: “Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione”. Ci sarà anche per noi il tempo del ritorno in Galilea, di una ripresa graduale e lenta delle nostre fatiche ordinarie, negli ambiti che ben conosciamo.

Nessuna impazienza, però, nessuna forzatura potranno farci raggiungere un risultato migliore. Quel che importa è saperci fin da ora preceduti da Lui, il Signore, pronto in ogni momento a comunicarci il suo dono pasquale, la Sua vita donata per noi una volta per tutte, sottratta al potere della morte, sempre più intensa e viva, ancora tutta da scoprire.

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