Ma quale giornalismo sentimentale?

Marco Bellocchio con Sbatti il mostro in prima pagina, già nel 1972, illustrava cinematograficamente il clima politico-istituzionale della carta stampata, ricostruendo le riunioni di redazione de Il Giornale. Attraverso la lettura del film parlare dunque, oggi, di giornalismo sentimentale non mi sembra una grande scoperta. In una scena il direttore de Il Giornale chiama a rapporto Roveda, il giornalista della cronaca, colpevole di aver pubblicato il seguente titolo: “Disperato gesto di un disoccupato (occhiello). Si brucia vivo padre con cinque figli (titolo)”. Il direttore ammonisce il giornalista Roveda: “non voglio farti una lezione di semantica applicata all’informazione ma mi pare che la parola disperato è gonfia di valori polemici. Se poi me la unisci alla parola disoccupato, (disperato uguale disoccupato), allora ci troviamo di fronte a una vera e propria provocazione, compiuta la quale tu prendi questo pover’uomo di lettore, gli sbatti in faccia cinque orfani e un cadavere carbonizzato”. Nel titolo si annida una chiara relazione descrittiva di uno dei modelli semiotico-testuali, utilizzati spesso nella comunicazione di massa. Questo esempio, di come vengono accostati gli aggettivi ad effetto, riferito a situazioni dalla connotazione drammatica, dimostra come la tattica sia quella di attirare il lettore, invogliandolo a leggere l’articolo. In un’altra scena il giornalista Roveda fa visita ai genitori della ragazza, violentata e uccisa, mettendo in posa, sul letto, il fratellino della ragazza morta, ritraendolo in una fotografia, così da suscitare emotività, e sensazionalismo. Sull’uso spregiudicato della stampa, su come si manipola l’informazione, sulla teoria ipodermica, in contrasto con la retorica della persuasione; sulla creazione di menzogne, sui rapporti tra potere politico e stampa; sulla formazione delle coscienze e sul controllo sociale, la letteratura abbonda di pubblicazioni. Non per nulla, da Gutenberg ad oggi, la carta stampata, i media elettronici, il web e i giornali online tentano di fare presa sull’emotività dei lettori, con l’intento preciso di inculcare messaggi, in risposta alla linea editoriale, a scopi elettorali, per guadagnare voti, o per questioni partitiche, di potere e ideologiche. Il bambino siriano ritratto, cosparso dalle macerie, o la fotografia del bambino immigrato, morto sulla riva del mare, smuovono la percezione individuale e l’immedesimazione compassionevole, nel tentativo di suggestionare e persuadere. Il procedimento di chi ha governato l’informazione, come nel film di Bellocchio, è lo stesso attuato in questa società dell’informazione, ad esempio, quando leggiamo certi titoli sul web, sulla carta stampata, sui quotidiani e sui siti di informazione online: “Uccisa in auto da un marocchino ubriaco”,” Africano ubriaco uccide una ragazza”, “Attacco a Parigi: bastardi islamici”. In questi esempi si può constatare come ogni termine abbia il suo significato letterale ma anche tutta una serie di risonanze emotive, che possono condizionare il nostro modo di rapportarci a quei determinati eventi. I mezzi di comunicazione hanno il potere di influenzare e indirizzare la massa che tuttavia, per la teoria della comunicazione, è un concetto piuttosto ambivalente. Tornando al giornalismo sentimentale dell’indignazione, non è una novità che sesso, sangue e soldi, così come violenza e sensazionalismo, siano i motori trainanti per fomentare e strumentalizzare i sentimenti meno nobili degli esseri umani, come l’odio e il razzismo, soprattutto considerando il fatto che l’informazione è una vera e propria industria, e quindi ci sono potenti interessi in gioco. Ritengo però che il lettore sia in grado di riflettere attraverso l’informazione, creandosi una sua opinione, perché se siamo convinti che sia manipolabile e influenzabile, è un insulto al suo senso critico, dal momento che indirettamente, gli stiamo dando dell’imbecille e dell’incapace, come ha fatto, nel film, il direttore quando afferma: questo pover’uomo di lettore. La considerazione che il direttore ha del lettore è squalificante, paternalistica e commiserevole.

Potrebbe risultare una contraddizione quando sostengo che da un lato i mezzi di comunicazione influenzano la massa e dall’altra quando affermo che l’individuo ha la capacità di formarsi una sua opinione. Ma parto dal presupposto, per me irrinunciabile, che non si debba considerare il lettore un individuo privo di massa critica. Appurato che i mezzi di comunicazione di massa sono un sistema organizzato, con degli scopi e dei fini precisi, che possono venire impiegati, come è successo con il nazismo, la propaganda mirata, o il giornalismo di regime, è proprio in virtù del potere manipolatorio di questi sistemi organizzati dell’informazione, che l’individuo/lettore, in quanto tale, deve essere rispettato, democraticamente, onestamente ed eticamente, nel suo giudizio, considerando la sua capacità di riflessione, e presupponendo l’acquisizione di un suo bagaglio culturale.

Non condivido nemmeno l’idea secondo cui, tra i compiti del giornalismo, ci dovrebbe essere quello di educare anche perché bisognerebbe accordarci su cosa significhi educare. Il ruolo del giornalismo, e di riflesso del giornalista, è piuttosto quello di fornire informazioni, trasmettere conoscenze, fatti, opinioni, stimolando il dibattito culturale e politico senza mitizzarne il ruolo. Il suo compito dunque non è quello di educare perché sarebbe un atto di arroganza e superiorità credere che, una presa di posizione di un singolo giornalista, di una firma conosciuta, un opinion maker, su un tema, o sui massimi sistemi, possa modificare la visione del lettore. Ho sempre rifiutato l’hobbesiana posizione di chi sostiene che il popolo è un bestione da domare, il quale necessita dell’intervento accompagnatorio, di chi è più preparato di lui: del professionista, il quale, dall’alto del suo potere, può civilizzare il lettore. Penso inoltre sia sempre più necessario rispettare, nel sistema dell’informazione, il distinguo tra informazione e comunicazione, così come è importante tenere presente le regole del giornalismo anglosassone, una delle quali stabilisce la separazione tra fatti e commenti, tra cronaca e opinione. E se non è possibile attuare questa separazione, tra fatti e commenti e tra cronaca e opinioni, sarebbe indispensabile argomentare i contenuti di quanto si vuole comunicare. Le teorie dei mass media non possono dunque essere ridotte sulla base di un credo del tipo: il lettore è facilmente influenzabile e manipolabile e quindi posso direzionare le sue scelte perché, questa visione denota la peculiarità di un certo tipo di sottile dittatura. Il giornalismo deve valutare i mutamenti, la complessità della società, le nuove interazioni sociali, in particolare dopo l’avvento dei social, perché senza queste considerazioni è come giudicare un quadro dalla sua cornice.

Nicoletta Barazzoni

n/a