Morto l’artista concettuale Ulay

Ulay, pseudonimo dell’artista concettuale Frank Uwe Laysiepen conosciuto, tra l’altro, per il suo sodalizio con Marina Abramovic, è morto nella tarda serata di domenica a Lubiana, dove viveva dal 2009. Aveva compiuto 76 anni lo scorso novembre. Malato di cancro da diversi anni, Ulay era considerato uno dei più importanti artisti visivi contemporanei, che ha lasciato il segno nella storia dell’arte come pioniere di body art, performance e fotografia Polaroid. Come riporta il portale della televisione di Stato, di se stesso Ulay diceva di essere “il più celebre artista sconosciuto”. La notizia della scomparsa di Ulay ha iniziato a circolare questa mattina, quando il regista e documentarista sloveno Damjan Kozole, amico di Ulay, ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un tributo all’amico scomparso, riproponendo un video di una mostra del 2012 al Museo di Arte Moderna di Lubiana sulla morte della fotografia, la prima forma di espressione artistica utilizzata da Ulay. «Per capire Ulay ci vuole tempo, forse tutta la nostra vita», ha detto di lui una volta Marina Abramovic, l’artista serba, naturalizzata americana, che con Ulay ha condiviso un percorso artistico e sentimentale lungo un decennio.

I due hanno segnato e per certi versi rivoluzionato la scena delle performance artistiche, dopo che si conobbero ad Amsterdam nel 1976, città che Ulay aveva scelto nel 1968 in fuga da un rapporto conflittuale con la famiglia d’origine, legata al nazismo. All’inizio l’artista si formò e affermò come fotografo, per poi cercare espressioni artistiche alternative in risposta a domande relative all’identità umana, prima di tutto da un punto di vista dei confini fisici del corpo umano e della sessualità. L’incontro con Marina Abramovic lo spinse verso esperimenti più radicali, e anche la fine della loro simbiosi artistica e personale fu oggetto della rappresentazione Gli innamorati: la camminata sulla Grande Muraglia, un viaggio a piedi nel 1988 lungo la Muraglia partendo dai capi opposti per incontrarsi a metà strada e dirsi addio. Terminato questo ciclo della sua vita, Ulay tornò a dedicarsi alla fotografia, esplorando le persone emarginate nella società contemporanea. Tra le serie più significative di questo periodo figura l’Afterimages di Berlino del 1994-1995. I due si incontrarono di nuovo in pubblico nel 2010, durante la performance di Abramovic al Moma di New York, in cui l’artista serba rimase per 736 ore ferma a fissare i visitatori che si sedevano di fronte a lei. (Ansa)

 

 

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