Paolo Gentiloni: il sobrio impopulismo e l’urgente ripartenza

Tra i tanti eventi presentati a Milano durante la quattro giorni di BookCity 2018, non so quanti ospiti possano godere della presenza, al tavolo d’onore come relatori, del Presidente dell’INPS Tito Boeri, del Sindaco della città meneghina Giuseppe Sala e della Vicedirettrice del Corriere della Sera Barbara Stefanelli. Sala piena a Palazzo Clerici per la presentazione di La sfida impopulista (Rizzoli) dell’ex Premier Paolo Gentiloni, domenica 18 novembre 2018. Un libro con uno stile tutto suo: non solo perché l’ha veramente scritto l’autore – cosa rara per i libri dei politici e gli instant book sotto Natale – ma perché rispecchia le due grandi e recenti esperienze dell’ex Primo Ministro italiano: il Ministero degli Esteri sotto il Governo di Matteo Renzi e la successione a quest’ultimo a Palazzo Chigi. Il tutto con un tono sobrio, educato e pacato. Insomma: alla Gentiloni.

Barbara Stefanelli esordisce con un’introduzione al libro, mettendo sul tavolo i problemi dell’agenda politica italiana ed europea, fulcro del piccolo saggio gentiloniano. L’ammissione degli errori, ma anche la rivendicazione delle scelte fatte dall’ex Premier italiano: il tutto mescolato dalla crisi – congenita – del Partito Democratico, che più di tutti paga lo scotto di una sinistra al crepuscolo in tutta Europa e non solo. «Non aver paura dell’amor di Patria» (da non confondere con un certo insopportabile e pesante nazionalismo che bussa ancora alla porta di chi la Storia non l’ha imparata e non la vuole capire); «parlare di ambiente» (in sala, seduto in seconda fila, a portata di popolo, l’esponente del PD Ermete Realacci, da sempre vicino alle posizioni verdi e amico di Gentiloni); «la tutela dei deboli» (dimenticati e ignorati dal partito delle ZTL): sono questi i punti salienti del primo libro di Gentiloni, Premier per 526 giorni.
«Si tratta del resoconto di un annetto di governo», esordisce Tito Boeri (la cui candidatura alle politiche è stata chiesta da ben diciotto partitini). «Il Governo Gentiloni ha tenuto la barra dritta», continua il Presidente dell’INPS. Importante è stato «aver creato uno strumento universale di contrasto alla povertà», cioè il cosiddetto REI, Reddito di Inclusione, varato da «un governo con pochi annunci, che ha lavorato nei sotterranei con i dossier»: pochi slogan (a differenza dell’Esecutivo precedente e quello anteriore) e ben dimensionati. «Credo che non si sia capito il disagio profondo che c’era in Italia: presente anche in altri paesi» – si capisce – «ma in Italia molto forte.» Non solo per il fatto che la povertà si è triplicata dall’inizio della crisi, ma troppi milioni di persone «non hanno visto più mobilità sociale» (la crisi economica ha bloccato i già complessi meccanismi di ascesa sociale). Problema che non ha guidato l’azione del Governo Gentiloni: «è grave che il REI sia stato introdotto a fine Legislatura e con cifre inadeguate», ammonisce Boeri. «Si è scelta la strada del premio a piccole categorie» (vaga allusione agli ottanta Euro renziani). «Nella società bloccata c’è la terribile disparità tra insider e outsider» (la ZTL, appunto), la differenza tra popolo ed élite, tra sopra e sotto, tra dentro e fuori.

E se il disagio tra periferia e centro è ancora molto pungente, Milano rappresenta – come spesso accade – il simbolo di qualcosa di diverso. Milano: la città dove è nato il Fascismo, la vera capitale della Repubblica Sociale Italiana, la città simbolo della ricostruzione del Dopoguerra, la città dove è nato il terrorismo degli anni Settanta con Piazza Fontana e l’omonimia con il Ramazzotti degli anni Ottanta. La Milano che anticipa la caduta della Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite e la discesa in campo di Silvio Berlusconi, la Milano che rinasce sotto l’opera di grandi sindaci (di centrodestra e di centrosinistra) fino ad EXPO 2015. A Milano le cose funzionano: florida, ricca, vincente. La città del fare. «La situazione di Milano è particolare, ma la tendenza globale è la destra al governo e la sinistra nelle grandi città», dice il Sindaco Beppe Sala. «Oggi è facile fare il politico di destra» e «sembra che la verità non sia più rilevante» (#latoccapiano). «La sinistra deve fare proposte, ma allo stesso tempo un’opposizione molto dura. Deve arrivare un momento in cui lo stile conta: in questo, spero di assomigliare a Paolo, con la schiena dritta, con il garbo. L’accumulo di una vita fatta di fatica e non di improvvisazione.» E su Milano? Be’, «il modello Milano non è facile da riprodurre.» Internazionalità e apertura non possono e non devono essere solo un esempio lombardo, ma nazionale. «Io sono un teorico della centralità delle città: il cambiamento nasce dalle città!» Ma ci sono due discontinuità in questa epoca: «la gente oggi vuole andare ad abitare nelle città» (nel 2050 sarà l’ottanta per cento gli animati da questo desiderio) e secondariamente «la questione ambientale e sociale», grande e grave emergenza che prende forma e sintesi nel concetto di “immigrazione”. Poi la nota affettiva. «Il potere è divisibile e va diviso: per governare c’è bisogno degli altri. E Paolo Gentiloni è l’interprete di questa idea.»

Lavorare in squadra quindi: la parola all’ex inquilino di Palazzo Chigi, che simpaticamente prende le distanze dall’amico Sala. «Dal mio accento capite che non sono milanese. Ma a noi romani ce rode: Milano funziona. Qui si vede una spinta, un traino per tutto il paese.» La sfida impopulista è un’espressione del professor Ilvo Diamanti: «“impopulista” vuol dire rendersi conto della pericolosità che stiamo correndo: non solo la paura degli immigrati, ma la minaccia alla democrazia liberale» (#latoccapiano-bis). Occhio al pericolo, dunque: «quel pericolo che noi lo abbiamo sottovalutato, ma questo non vuol dire che dobbiamo seguire il modello nazional-populista.» Perché? «Perché vincerebbero loro.» E il libro? Lo scopo di questa piccola pubblicazione è, secondo Gentiloni, «il raccontare la mia esperienza, la messa a verbale delle cose che abbiamo fatto. Cose che non ci hanno portato a vincere le elezioni.» Giudizio sereno anche dei governi di Enrico Letta e Matteo Renzi: «il cocktail di illusioni e paura non lo abbiamo visto arrivare …» E infatti la cosa è stata fatale per un PD ridotto, stando ai sondaggi al diciassette-diciotto per cento. Per chi governa, coltivare l’ottimismo è comprensibile: «sottolineare che le cose vanno in una certa direzione è giusto» dice l’ex Premier, ma le dinamiche sociali hanno fatto sì che il governo «diventasse il colpevole, il responsabile di tutti i mali.» Qualche parola poi sull’andamento economico (tematica non toccata nella conferenza): «lo spread a questi livelli è come la febbre a trentanove gradi»: prima o poi la malattia scoppia definitivamente. E non ci sarà nulla da fare (ma la colpa, secondo certe narrative volutamente semplificate, sarà della Germania e di Angela Merkel). Speriamo che l’Italia sia pronta, anche se oggi «siamo molto isolati dall’Europa» (anche i partiti nazionalisti di Austria e Olanda hanno detto bye-bye a un’Italia che non rispetta le regole, ossequiate dagli altri ventisei paesi dell’Unione). Tanti nemici tanto onore? «Mettere in discussione i pilastri nel nostro paese non rende più sicuri», dice energicamente Gentiloni. Ricette facili non ci sono.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

 

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