Percorsi da palcoscenico
Nel grande viaggio si fanno dei viaggi, sono i nostri piccoli percorsi insignificanti sulla crosta di questo pianeta che a sua volta viaggia, ma verso dove? (Antonio Tabucchi)
Ciao, vi sono mancata? Ho saltato un appuntamento dei miei viaggi perché sono stata a Cuba, in Congo, in Argentina, ad Hebron, nella Corea del Sud, in Sudafrica… Nel giro più o meno di una settimana. Come ho fatto? Beh, lo sapete, ci sono molti modi di viaggiare e di conoscere altri paesi, non solo fisicamente e anche attraverso il teatro. È quello che è successo negli scorsi giorni con il festival internazionale che mi ha portato in diverse nazioni del mondo, ad incontrare altre culture, lingue, la loro storia, i loro racconti, senza bisogno di spostarmi da Lugano.
Nella diversità c’erano dei fili conduttori, il bisogno di narrarsi in prima persona, lo stesso protagonista reale che diventa testimone più che attore, interprete della propria vita, più che di una storia scritta da altri; il filmato, l’immagine-documento a supporto delle parole, ma in un andirivieni sempre in bilico tra realtà, verità e artificio, ricostruzione e rielaborazione del passato che è comunque quello che fa anche la nostra memoria e del resto la stessa testimonianza. Ciò che si vede e ciò che si racconta in un tempo successivo è comunque un episodio soggettivo del vissuto, ma anche questo è un aspetto della verità che non esiste a livello neutrale, così la storia. La grande storia, quella che si legge nei manuali, schiaccia la “piccola”, fatta giorno dopo giorno dalla gente, dal popolo. Quest’ultima può risultare meno coerente, lineare, ma anche più aderente, con la sua componente di emotività, al senso del ricordo che si perpetua. Pure questo è viaggio.
Un altro aspetto è il racconto affidato oppure filtrato da una generazione anni ’80, è stato il caso di Cuba, con i quattro ragazzi che riportavano le esperienze dei loro nonni, dalla rivoluzione in poi o del sudcoreano Jaha Koo che ha raccontato, riflessi nello specchio della sua vita, gli ultimi travagliati vent’anni del suo paese, Rudi van der Merwe, giovane pure lui, si è messo sulle sue stesse tracce, tornando nella città d’origine, raccogliendo disagi di ieri e di oggi. Un lavoro inverso è invece quello di Lola Arias che ha interrogato e trasformato in attori di se stessi i veterani della guerra Malvinas/Falkland, anziani che si trovano a dover fare i conti, politici e militari, con quello che è stato il loro impegno giovanile. In altre maniere “giocano” con la testimonianza Milo Rau, Ruth Rosenthal o Rabih Mroué.
Sono uscita dal seminato?
Direi proprio di no. Ad esempio nella Corea del Sud ci sono stata da poco seppure brevemente, la nave che dalla Russia mi ha portato in Giappone ha fatto sosta nella città portuale di Donghae dove ho trascorso alcune ore. E non dimentico l’impressione desolante di quella fila di negozietti e case, attraversate da una grande strada deserta, il trenino che passava accanto ad una spiaggia, pure spopolata, sporca, con due famiglie che stavano sotto una tenda canadese, nessuno in mare, nonostante la temperatura estiva. Le grotte sembravano essere l’unica attrazione turistica, ma di turisti se ne sono visti pochi. Donghae non ha meritato nemmeno una voce di Wikipedia, nonostante non sia precisamente un villaggio avendo più di centomila abitanti. A volte è il destino delle città che assolvono solo un compito commerciale, ma dopo aver visto lo spettacolo capisco di più quel senso di povertà ed emarginazione trasmesso da un paese considerato all’avanguardia tecnologica e la cui ripresa economica, dopo la grande crisi, a quanto pare è illusoria o comunque ha creato grande divario sociale.