Piazza Fontana, la strage che segnò l’inizio degli “anni di piombo”

Eppure, c’erano state delle avvisaglie e neppure molto tempo prima. Il 25 aprile 1969, festa della Liberazione, una bomba esplose presso un capannone FIAT fuori Milano, così come all’ufficio-cambi della stazione in Piazza Duca d’Aosta. Altre bombe scoppiarono nella capitale lombarda dei tardi anni Sessanta: l’8 e il 9 agosto anche diversi treni e tratti ferroviari furono raggiunti dal tritolo anarchico. Gli anarchici come colpevoli di tutti gli attentati e i blitz, si diceva. Ed era vero che molti degli anarchici – a cavallo tra Ottocento e Novecento piazzavano bombe e perpetravano attentati contro i reali d’Europa – erano italiani, ma poco prima delle diciassette del 12 dicembre di cinquant’anni fa le cose erano diverse.

Ad eccezione degli attentanti in Alto Adige, l’Italia non era abituata fino alle bombe: quella che scoppiò alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana, dietro al Duomo, a Milano (che da quel giorno per oltre dieci anni fu la sede di feroci divisioni politiche) fu la madre di tutte le bombe. Qualche ora dopo, a Roma, tre esplosioni, nessuna vittima; un’altra bomba venne trovata inesplosa alla Banca Commerciale, nei pressi della Scala. Sotto la lente della questura di Milano finì subito il giovane frenatore delle ferrovie di Porta Garibaldi Giuseppe Pinelli, anarchico, la cui morte – dalla finestra della questura milanese – rimase un giallo per anni.

Lotta Continua puntò il dito contro il Commissario Luigi Calabresi, che avrebbe scaraventato il giovane dal quarto piano dell’edificio. Un depistaggio: il padre dell’ex direttore di Repubblica non era in questura quel pomeriggio. Le ricerche portarono al ballerino Pietro Valpreda, ma nei primi mesi del 1970 furono Giovanni Ventura e Franco Freda (del movimento neofascista Ordine Nuovo) ad essere identificati come responsabili della bomba di Piazza Fontana; accusati nella sentenza della Cassazione del 2005 di aver organizzato la strage, ma non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» (con riferimento all’assoluzione per mancanza di prove nel 1987).

Il 12 dicembre 1969 fu la Sarajevo della stagione del terrorismo: molti storici hanno identificato il tragico scoppio che uccise diciassette persone ferendone altre ottantotto come l’inizio dello stragismo nella Penisola. Terrorismo nero e rosso si alternarono nel clima violento degli anni Settanta, gli “anni di piombo”. Dopo il Sessantotto francese – che durò due mesi a differenza di quello italiano che durò due lustri – anche in Italia arrivò l’autunno caldo: la tensione politica era sempre più alta e i gruppi extraparlamentari emersero e appiccarono il fuoco dell’odio sociale.

Fino alle stragi, fino alla vetta suprema: il rapimento e l’uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. La bomba di Piazza Fontana fu l’inizio di un decennio di terrore in Italia: di paura e di insicurezza. La Repubblica era sotto attacco, ma non dall’esterno, bensì dall’interno, da forze assassine e ideologizzate. Da chi voleva un regime autoritario (l’estrema destra) e chi quello proletario (l’estrema sinistra).

Amedeo Gasparini

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