Letture manzoniane: poesia e idealità in Goethe e Manzoni

Due movimenti epistemologici diversi, l’uno che dalla storia conduce alla mitologia, l’altro che percorre la strada al contrario e due città: Weimar e Milano. Tuttavia, anche una “partecipazione affettuosa”, un atteggiamento paterno, si potrebbe dire, quello che unisce Goethe nei confronti del Manzoni. Sono queste le conclusioni a cui arriva il prof. Roberto Gilodi, ieri sera ospite delle Letture manzoniane promosse dall’Istituto di Studi italiani dell’USI.

Goethe dà forma a un’utopia: il progetto di fare poesia in un’età in cui si stavano consolidando le letterature nazionali. Per Goethe, che guarda dalla Germania al romanticismo italiano, la sua pecca è quella di non riuscire a trasformare la critica del classico in un confronto dialettico vero con la tradizione antica. Manca in Italia la reinvenzione creativa del classico, cara a Goethe nel fare poesia. Inoltre, nel concetto di romanticismo di Goethe, la letteratura non deve essere assoggettata ad una codificazione normativa, ma il suo fondamento deve essere rintracciabile in una ratio che la accomuna alla natura. L’essenza, la radice delle forme estetiche sta nella natura, secondo uno sguardo antropologico di impostazione spinoziana. Così, “la polemica romantica assume i contorni di una sorta di rito di passaggio verso il dispiegarsi del poetico in direzione di una consonanza con l’idealità”, sottolinea il prof. Gilodi.

Diversi gli aspetti del pensiero di Goethe che si riverberano sulla lettura della poetica manzoniana. Per Goethe che guarda al Manzoni, l’autore è capace di “trattare in modo imprevedibile oggetti poetici che appartengono al sentire comune”; il riferimento è agli Inni sacri e a loro contenuto “misteriosamente pio”. Manzoni eccelle nel trattamento di cose che sa rendere in modo pacato e chiaro, con capacità di commuovere ed eccitare elegiacamente i suoi lettori. “Dunque, Goethe rimane soprattutto colpito dalla capacità di restituzione, da parte del Manzoni, del sentire collettivo tramite la tecnica poetica”, commenta il prof. Gilodi.

Goethe sottolinea altresì l’importanza di giudicare un’opera a partire dai criteri che si è imposto l’autore, secondo una “filosofia della composizione” cara anche al Manzoni. I Promessi Sposi non sono solo una trasgressione dell’unità di tempo e luogo ma la scoperta di una libertà interna dell’opera, di una sua unicità. Si tratta, per Goethe, di riscoprire il ruolo produttivo che ha l’individuale nella produzione letteraria, valorizzando l’uso personale della lingua. In ogni opera è rintracciabile una logica immanente che presiede alla sua costruzione, che è altro dai generi letterari, come sosterranno anche Walter Benjamin e Adorno tra i tanti. Questo assunto ermeneutico ci rivela che Goethe è in dialogo con le istanze romantiche più produttive e questo si riverbera sulla lettura della poetica manzoniana.

Goethe ritiene inoltre che ogni costruzione poetica si basi su qualcosa di anacronistico e l’anacronismo consiste nel fatto che nella scrittura letteraria riecheggia sempre il passato, il quale non si presenta nella sua dimensione autentica ma è frutto di un processo di ricezione che ne cambia i connotati; un gesto palesemente anti-storico, di integrazione nel proprio presente, di assimilazione, di appropriazione. Così, per Goethe “ogni poesia è di casa fra gli anacronismi”: la vera poesia è anacronistica, si libera dalla sua contingenza per innalzarsi in un territorio di idealità in cui uomini di epoche diverse vi si possono riconoscere.

Tutto questo riconduce alle modalità di procedere del Manzoni nell’esercizio poetico, che distingue tra personaggi “storici” e “ideali”. “Deggio però confessare – ammette il Manzoni – che la distinzione è un fallo tutto mio”.

“Manzoni – conclude il prof. Gilodi – è espressione di una hybris, egli tenta di costruire un mondo possibile, vive in un mondo dominato dalla possibilità; tuttavia, per Manzoni il possibile coincide con ciò che storicamente è già dato, possibile e ideale si identificano come espressione della volontà dell’autore. Ma così, lo scrittore abdica alla sua funzione creativa, per identificarsi con lavoro dello storico”.

Laura Quadri

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