Quando viaggiare è riscoprire se stessi – Serata evento alla RSI con Paolo Rumiz e Stefano Faravelli

Grande successo per la serata evento di ieri sera alla RSI “Il senso del viaggio nel mondo globale”, cui hanno partecipato, come ospiti speciali, Stefano Faravelli e Paolo Rumiz.

Stefano Faravelli dai suoi numerosi viaggi nel Vicino, Medio ed Estremo Oriente, riporta affascinanti carnet pubblicati a partire dal 1994, quando esce Sindh. Quaderno indiano. Da allora i suoi “taccuini” sono stati esposti a Londra, New York, Parigi, Istambul e Gerusalemme.

Paolo Rumiz è un giornalista, attento alle nuove forme di viaggio caratteristiche del nostro tempo, e scrittore triestino. Dal 1986 si è occupato per La Repubblica degli eventi dell’area balcanica e danubiana; negli anni Novanta, durante la dissoluzione della Jugoslavia, fu corrispondente in Croazia e Bosnia-Erzegovina. Nel novembre 2001 fu inviato ad Islamabad, e successivamente a Kabul, per documentare l’attacco degli Stati Uniti d’America all’Afghanistan talebano. Molti dei suoi reportage narrano i viaggi compiuti, sia per lavoro che per diletto, attraverso l’Italia e l’Europa.

Dalla voce di entrambi, moderati da Claudio Visentin, docente di Storia del Turismo all’Università della Svizzera italiana, sono uscite molte considerazioni interessanti sul senso del viaggiare oggi. Tutto è incominciato nell’infanzia:

“Da piccolo vivevo di già una sorta di inquietudine migratoria”, racconta Rumiz. “La banalità della vita mi appariva sconcertante. Il nomade che abita in noi mi spingeva a voler partire, a viaggiare. Dietro questo istinto, c’era la voglia matta di ampliare i miei orizzonti. Poi ho capito che il viaggio, in fondo, più che essere scoperta di altro, non è che una riscoperta di noi stessi, un approfondimento di quello che siamo. Il mio sogno, dopo tanti viaggi? Farne uno in cui io non senta l’esigenza di scrivere. Vorrei trovarmi di fronte all’indicibile e non riuscire a parlarne. Un mio amico, a questo riguardo, mi consiglia di fare un bel viaggio in barca a vela”.

Qualcosa di analogo accade a Faravelli, che percepisce la stessa vocazione al viaggio sin dall’infanzia, ma per motivi diversi: “Nel mio caso a colpirmi è stata la forza di quelle poche immagini che ai miei tempi erano disponibili. Chi è cresciuto da nativo digitale non può capire cosa significa avere a disposizione solo una manciata di immagini che raccontino la realtà. L’incontro più folgorante della mia vita, quello con il lato esotico del pianeta, è avvenuto tramite delle immagini. Da bambino ha preso forma un immaginario che non mi ha mai più abbandonato”.

Ma cosa significa, nel mondo globalizzato di oggi, viaggiare?
Rumiz: “Significa inseguire un paradosso. Viaggiamo verso Oriente nella speranza di trovare un mondo esotico e meraviglioso e vi scopriamo invece una terra semplicemente colonizzata dai turisti. Dall’Oriente, invece, migrano in Occidente, nella speranza di un futuro migliore, perché le immagini che circolano nei mass media hanno creato una sorta di “mito occidentale”. Insomma: è l’incomprensione reciproca, l’illusione che oggi spinge il più delle volte grandi masse di persone a spostarsi. Così, alla fine, il viaggio è fatto sempre di alcune componenti che si intrecciano tra loro: da una parte la meraviglia e l’incantamento, dall’altra il dolore e l’indignazione per ciò che dovrebbe essere e non è”.

Anche per Faravelli il viaggiare oggi è una questione di “immagini”: “Oggi sulle cartine non ci sono più spazi vuoti e la prima vittima della nostra capacità di immaginare le cose, la vittima di questa “conoscenza quantitativa” è l’immagine. Siamo in uno stato di guerra tra le immagini. Pensiamo al terrorismo: perché i terroristi attaccano l’uomo occidentale? Semplice: lo attaccano perché se ne sono fatti un’immagine stereotipata. Se prima dei grandi viaggi, c’era un vuoto da riempire, ora paradossalmente siamo dinanzi ad una pienezza che non ci dice nulla, e a volte falsa la realtà”.

“Il mondo – chiosa Rumiz – sta cambiando, ma la vera questione è un’altra: come facciamo a cambiare il nostro sguardo?”.

Rumiz si dice anche “nostalgico”, in un certo senso, delle frontiere e ci spiega il perché: “Ci avete mai fatto caso? Nell’epoca dei “no border”, costruiamo di continuo reticolati, innalziamo muri fittizi. In fondo, credo che una buona frontiera, pattuita con la pace e il reciproco dialogo, è ciò che rende la realtà percorribile. Bisogna coltivare questo senso sano del limite. Il luogo della diversità, demarcata con la frontiera, è anche il luogo dell’incontro”.

E poi svela alcuni segreti: “Ho imparato a narrare me stesso, prima di raccogliere le storie della gente che incontro. Ho imparato anche che un viaggio va preparato. È il lavoro, la fatica, la sofferenza di questa preparazione che danno importanza ad un viaggio e fanno sì che un dato luogo si faccia sentire dentro di me. E viaggiando prendiamo la misura dell’immensità che ci portiamo dentro. Il viaggio è una scuola: ti insegna a ritornare a te stesso”.

“Il trucco – conclude Faravelli – è proprio quello di cambiare unità di misura del proprio sguardo. Un ciuffo d’erba può diventare una foresta pluviale”.

Seguiranno nei prossimi mesi due altri appuntamenti sul tema del viaggio, questa volta presso Scuola Club Migros (Via Pretorio 15, Lugano). Il primo, giovedì 21 febbraio 2019, ore 18, “Viaggio e cambiamento. Perdersi, ritrovarsi, crescere”; Andrea Bocconi dialoga con Sandra Sain. Mentre il secondo avrà luogo giovedì 21 marzo 2019, ore 18, “Io viaggio da sola. Storie di donne”; Alessandra Beltrame dialoga con Barbara Sangiovanni.

Laura Quadri

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