A “Raccogliere voci: non c’è lavoro artigianale più bello”. Paolo Di Stefano alla Casa della Letteratura

Non necessita di presentazioni Paolo Di Stefano ma se gli poni delle domande, come ieri sera Mariarosa Mancuso alla Casa della Letteratura di Lugano, ti si svela un mondo, fatto di episodi, reminiscenze, gusti e sapori di un tempo che fu: le stoffe del paracadute usate, in tempo di guerra per ricavare i vestiti; il padre con la passione per il proprio dialetto, quello di Avola, in Sicilia; il nonno materno, durissimo maresciallo di finanza ma anche abile pittore. Una scrittura che abbiamo imparato ad amare con “Baci da non ripetere”, poi – tra i tanti – “La catastròfa”, “La parrucchiera di Pizzuta”, e persino “Tutti contenti”, scritto con lo pseudonimo di Nino Motta.

I personaggi che costellano “Noi”, in uscita il 18 marzo, sono davvero tanti e diversissimi: dentro quel “noi” la storia di un’intera famiglia, quella di Di Stefano, dagli anni Trenta, allo sbarco anglo-americano in Sicilia, l’emigrazione a Milano degli anni Cinquanta, infine la Svizzera degli anni Sessanta-Settanta, narrate e descritte con “precisione documentaria”, i “dettagli certi”, come li chiama Di Stefano stesso. Un lavoro appassionante, coinvolgente di scavo tra gli archivi, di ricostruzione, ma anche di pazienza, nel riallacciare contatti e tessere relazioni rivelatrici, lasciando che la vita che è stata parli da sé. Di questo lungo “parto”, Di Stefano parla con entusiasmo: “Raccogliere voci: non c’è lavoro artigianale più bello. Quando raccolgo una voce, anche come giornalista, ho il dovere di ridare l’emozione che mi ha trasmesso. Ritrovare queste voci sulla pagina, con tutte le emozioni che mi hanno trasmesso, è il lavoro più bello che possa esserci. Per me è un esercizio che dura da sempre”. Con un desiderio: offrire al lettore, attraverso un racconto che parte da fatti personali, uno sguardo globale sulla storia dell’ultimo secolo.

Di Stefano, per spiegare questa passione – anzi, questa “ossessione” – che lo ha portato a cercare tracce della sua famiglia nei posti più disparati come l’archivio della magistratura siciliana, parla di un “nodo biografico” esploso ormai sette anni fa, quando si accingeva a stendere le prime righe di quello che sarebbe diventato un libro di seicento pagine. “Nella mia scrittura c’è effettivamente questa idea, che è quasi una sorta di ossessione. Qualcosa che ricorda i romanzi di James Ellroy, come il suo famoso Nei luoghi oscuri, in cui si ritrova a narrare dell’omicidio della madre. Anch’io ritorno nei miei “luoghi oscuri”, ritorno in Sicilia”.

Di fondo, una sensazione, un concetto, un brivido: quello della letteratura come strumento per “tenere a bada” la vita e soprattutto “tenere a bada” il dolore, l’angoscia, in qualunque forma esso si presenti, anche quella per un fratello andatosene troppo presto. A questo dolore l’autore ha voluto dare una collocazione privilegiata, esprimendolo in qualche modo “graficamente” nel testo, così da dar luogo ad una sorta di dialogo in absentia con la figura tanto amata: la forma scelta è quella della poesia breve, della filastrocca, dell’haiku; elementi che intarsiano il testo principale e la storia come un “controcanto”. Ma vi è spazio anche per altri tipi di dolore, come “la fragilità un po’ falsa e un po’ vera”, di quelle zie siciliane di cui Di Stefano si ricorda bene e che di ogni anno che passava dicevano essere l’ultimo: “Penso che la gente sia come le case, i muri. I muri di Avola si sfarinavano, come di anno in anno, all’insorgere di ogni dolore, le mie zie”.

Dettagli di un mosaico per “lettori forti”, insomma, come li definisce lui, “che alla scrittura lirica, poetica, che tanti anni fa è stata anche la mia, preferiscono ora una scrittura in un certo senso sporca”. Ma sporcarsi le mani, in questo caso, è particolarmente piacevole: piacevole sentire Di Stefano, da giornalista e scrittore pluripremiato, calarsi nella narrazione di esistenze ora ruvide e graffiate, ora morbide e accoglienti, ma non per questo meno “vere”; un invito, per finire, a incontrare di nuovo la vita nella sua essenzialità e, forse, a far pace con lei. Prossimo appuntamento alla Casa della Letteratura giovedì 5 marzo alle ore 18.30 con la presentazione del volume Giovanni Orelli, L’opera poetica con inediti, presentato da  Umberto Motta e Pietro Gibellini.

Laura Quadri

 

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