Strage di piazza Fontana e la “Strategia della tensione”

Accadeva 51 anni fa, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano: sono le 16.37 quando un’esplosione, generata da sette chili di gelignite posta sotto al tavolo ottagonale all’interno della sala principale, provoca la morte di 17 persone e 90 i feriti. È il 12 dicembre del 1969, questo giorno sarà ricordato come la Strage di piazza Fontana. Questo è l’inizio della Strategia della tensione.

Il suono di un’esplosione è penetrante e acuto, tanto intenso quanto l’odore che inizia a propagarsi nell’aria, così forte che si ha quasi l’impressione di avere in bocca del metallo mentre le narici iniziano a riconoscere quell’odore nauseante di carne umana bruciata. Urla, pianti, paura. Cosa è successo? Cosa sta accadendo? È un attacco terroristico? Sì, lo è. E in seguito ce ne saranno altri.
Siamo alla fine degli anni Sessanta, l’Italia vive un periodo di acuta conflittualità sociale, sono gli anni in cui le istituzioni democratiche vogliono essere messe in ginocchio, da chi? Da gruppi neofascisti ma non solo, anche da individui con legami e interessi internazionali che non vedevano di buon occhio la sempre più “popolarità” e i forti consensi conquistati da parte del partito comunista italiano.

A seguito della Strage di piazza Fontana, la testata inglese “The Observer” inizia a parlare di Strategia della tensione, ovvero il disegno eversivo bastato su atti terroristici ben studiati e il cui obiettivo era quello di diffondere paura tra la popolazione, così da poter in qualche modo condurre all’instaurazione di un sistema politico autoritario.
La Strage di piazza Fontana non fu un caso isolato, anzi, diede il via ad altri attentati: nel 1974 la Strage di piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus (per un totale di 23 morti e più di 100 feriti); poi, nel 1980 la Strage alla stazione di Bologna (84 morti e circa 200 feriti); nel 1984 la Strage sul rapido 904 (15 morti, 130 feriti).
Oggi i nomi dei mandanti restano ancora un mistero (i vari accusati sono sempre stati assolti), eppure con il tempo diventò sempre più chiaro l’esistenza di legami tra i vari ambienti dell’estremismo politico, i servizi segreti e vari poteri occulti.

A 51 anni dalla strage rimane un vuoto, una mancanza, quello che gli inglesi chiamerebbero “closure”, ovvero quel profondo bisogno e desiderio di avere una risposta definitiva: conoscere la verità invece di vivere nell’incertezza, nel dubbio, e nella continua consapevolezza che la giustizia non ha mai fatto realmente il suo corso.
Una riflessione è dovuta: molti italiani, tra cui una grande maggioranza di giovani, non crede nel sistema politico italiano, il pensiero comune del “è inutile tanto non cambia niente” riecheggia nell’aria. Lamentele sorgono e tramontano sui social…
Ma dov’è avvenuto l’errore? Forse nel momento in cui si è iniziato a confondere la politica con la giustizia penale. Giovanni Falcone un tempo disse: “L’Italia, pretesa culla del diritto, rischia di diventarne la tomba”. La domanda oggi sorge spontanea: l’Italia, tomba lo è poi diventata?

M.Elisa Altese

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