Tre memorie di donne legate a un giornale

Maria Giovanna Grandi, Rosita Colombo e Clara Lanek: tre donne, tre storie, tre modi diversi di essere dentro – le prime due – o vicina, molto vicina – la terza – al Giornale del Popolo. Questo dicembre, un mese al quale erano tutt’e tre molto affezionate per il calore umano che irradia e per i molti ricordi che in loro evocava, se le è portate via: ora vivranno un Natale senza fine, in piena serenità.

Maria Giovanna Grandi nell’amministrazione GdP

Maria Giovanna Grandi, 83 anni, è una figura conosciuta da generazioni di giornalisti, tipografi e gente che a vario titolo è arrivata al GdP. Qui si parla soprattutto di un certo GdP, quello dell’impronta creata, data e lasciata dal padre di questa testata, don Alfredo Leber. Oggi si dice – con giudizi frettolosi e sbrigativi – che quelli erano altri tempi. Lo erano, sicuramente: meno complessi, segnati da minor velocità nei giorni, meno numeri, meno ovunquità e connessione permanente che sono le conquiste ma anche la condanna del presente. Le stagioni si respiravano: adesso bisogna rincorrerle. Ma non erano comunque meno faticose, anzi: c’era una misura più attenta e si cresceva nell’educazione al risparmio. Così nelle case, ma anche negli ambienti di lavoro. Se il GdP crebbe e diventò quello che a lungo fu, nelle posizioni di testa dei quotidiani ticinesi, lo si deve all’attenzione scrupolosa di don Leber e dei collaboratori che aveva scelto e voluto al suo fianco. Una famiglia che s’era ingrandita, ma sempre con il criterio (e la saggezza) del passo secondo la gamba.

Nel Giornale del Popolo della seconda stagione leberiana, quella nella nuova sede di via San Gottardo 50, Maria Giovanna Grandi condivideva l’ufficio con Carla Fonti: seconda porta a destra, entrando nel lungo corridoio che portava in fondo, dove a sinistra era stanziale – di giorno e per lunga parte della notte – il capitano in clergyman che teneva sotto controllo tutta l’équipe, cogliendone i ritmi, i discorsi, le notizie, lo stemperarsi dei giorni. L’amministrazione del giornale è stata per anni e anni nelle mani di Maria Giovanna e Carla.

C’erano la presenza, il sostegno e la vigilanza di quell’altra colonna che don Leber aveva saputo con lucida intuizione nel suo disegno: le Suore di St. Maurice (Suor Lucia, Suor Antonietta e Suor Laurette) con esperienza nella comunicazione e quindi esperte anche di tipografia. Una gestione dove il calcolo era minuzioso, calibrato, senza concessioni all’eccesso, semmai al contrario. Tutto a fin di bene, si sentiva ripetere, insieme con un altro concetto, che era anche praticato: “Il giornale è una famiglia”. E lo era perché ci si conosceva bene tutti e non solo dentro le pareti della redazione e della “Buona Stampa”, ma anche nella quotidianità delle città e dei paesi, dove i ritmi erano molto meno vorticosi e più controllabili. Maria Giovanna era sempre sorridente, comprensiva, portata all’aiuto quand’era il caso. Conosceva praticamente tutto dei meccanismi che regolavano il lavoro delle quasi cento persone che formavano i ranghi del giornale, della tipografia, sia quella addetta alla lavorazione e messa in stampa del giornale, sia quella dei Bollettini parrocchiali, dei libri, della parte commerciale. Maria Giovanna e Carla hanno condotto con equilibrio e ponderatezza il loro delicato lavoro, con i rispettivi compiti. Fino a quando i salari mensili sono diventati di intera spettanza delle banche, tutti i dipendenti di GdP e TBS passavano nell’ufficio amministrativo di Maria Giovanna e di Carla oppure venivano avvicinati, soprattutto quanti lavoravano fuori dalla sede centrale o dagli orari di routine. Inconfondibili e indimenticabili quelle piccole buste gialle dove c’era il compendio del mese, con tutte le voci che formano un salario.

Quando la società, il tempo, le abitudini sono cambiati era ormai giunta l’ora della meritata pensione, senza che Maria Giovanna dovesse subire le complicazioni delle nuove tecnologie.

Rosita Colombo, la prima accoglienza in entrata

Quest’aria di familiarità e di dimensione umana ha avvolto anche il lavoro di Rosita Colombo, di Lugano, per tutti “Rosy”, giunta negli anni di Filippo Lombardi e successivi. Rosita è morta all’età di 84 anni. Il suo bagaglio era carico esperienza e di tutto il molto che è necessario per chi si occupa di centralino – che è il primo biglietto da visita di un giornale – e di accoglienza/ricezione delle persone che giungono in redazione. Rosita aveva abbondanza di qualità per lo svolgimento del suo incarico. Intanto era flessibile nella disponibilità per i turni di copertura, che si protraeva dal mattino alle 8 fino a sera inoltrata, a volte le 20 e anche oltre. Nessun giornale si concilia con chi ha come concezione quella del funzionario. Gentile, con grande autocontrollo, nelle parole e nel ricevere le persone, dal postino ai consiglieri federali. Lei si trovava a suo agio con tutti perché aveva imparato bene l’esercizio primo saluto e del congedo dai visitatori. E sapeva creare il clima giusto anche con i giornalisti, i fotografi, i collaboratori che approdavano in redazione, spesso con la fretta come compagna. Metteva ciascuno a suo agio, mai stanca di distribuire sorrisi, arrivando puntualmente in anticipo e staccando sempre oltre l’orario.

Clara Lanek, voce della RSI e opinionista del lunedì

Nel mezzo di queste stagioni si colloca la terza donna di questo trittico: Clara Lanek, morta a Muralto all’età di 87 anni. Clara era una delle voci note e facilmente riconoscibili della Radio della Svizzera Italiana nelle stagioni totalmente a Besso. La si può collocare tra le voci storiche dell’emittente. Curava servizi speciali, che in genere molti giornalisti vivono come un peso, “uffa che barba…”. Clara aveva la dote rara di “agganciare” il personaggio o la personalità da contattare e intervistare.

Riusciva con duttilità non comune, a mettere assieme per molti approfondimenti un mosaico impressionante di nomi di ogni area, provenienza, collocazione. Estroversa, prorompente, con eloquio straripante, in grado di far esprimere chiunque, anche un eremita votato al silenzio. Parlava bene e sapeva far parlare, tono di voce calda, pastosa, gradevole, con una pronuncia che ne faceva anche la sua identità e, appunto, la riconoscibilità. Altre sue caratteristiche: la creatività, l’istinto e l’estro, lo stile colloquiale con tutti, la generosità. Amava la vita, l’ottimismo, con il culto dell’amicizia. Era arrivata al Giornale del Popolo a fine anni Ottanta portando con sé tutta la sua esuberanza, capace di organizzare pranzi ma preferibilmente cene anche le più impensate e impensabili, con autorità politiche anche ai massimi livelli, con vescovi. Nel suo DNA c’era la convivialità e nelle conversazioni era sempre informatissima, documentata, aggiornata. Non era però accomodante e detestava la doppiezza, l’ipocrisia, l’opportunismo: quando ci voleva, era tagliente, arguta, ironica e sarcastica come ne ho conosciute poche nella vita e sul lavoro. Sul GdP, nella “terza” del lunedì, curava due volte al mese un approfondimento su realtà, aspetti, protagonisti della politica, mutamenti del costume d’oltre San Gottardo, dei “focus” accompagnati dalle vignette del marito, graffianti ma con un tratto di eleganza a delinearle. E quante volte, in momenti in cui l’attualità si fa infuocata, Clara Lanek ha aiutato a dipanare aggrovigliate matasse per comporre poi la notizia. I suoi arrivi negli uffici della RSI o al giornale – e li si percepiva in lontananza dalla voce – erano una botta di ottimismo. Lascia un forte rimpianto in chi l’ha conosciuta: era una donna brava e di carattere.

Giuseppe Zois

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