Un brillante Alessandro Baricco conclude la VII edizione degli Eventi Letterari
Un quadro appassionante, affascinante, ma anche pericoloso, inquietante quello presentato in modo divertente, ironico, a tratti anche sarcastico da Alessandro Baricco, che conclude in grande stile la VII edizione degli Eventi Letterari della Primavera locarnese, parlando della sua ultima creazione: The Game.
Riflessioni lucide, al confine tra la saggistica e la narrazione, che nascono per Baricco anzitutto ispirandosi a un grande maestro come Walter Benjamin, di cui lo scrittore ha curato di recente il suo Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov, di cui è stata letta la Nota introduttiva, in apertura di serata.
“Benjamin nel suo celebre saggio sosteneva che la narrazione è al tramonto. Intendeva, con questo, che stiamo perdendo il rapporto del gesto della narrazione con la sapienza e perfino con una forma di giustezza, cioè quella capacità di stare al mondo in modo giusto. Nell’antichità, infatti, il narratore era tutto questo: uno che sapeva, un uomo giusto. E questo modello, in cui il sapere si coniugava all’istinto narrativo, è collassato. La radice benjaminiana in questo senso si sente nel mio lavoro”.
Ne è la dimostrazione l’ultimo capolavoro di Baricco, appunto The Game, che descrive l’allontanamento dall’incubo del Novecento e dai suoi fantasmi, ovvero il passaggio da un modello culturale in cui acquisire conoscenza implicava sacrificio, sofferenza a, invece, una dimensione profondamente ludica. “Non è chiaro da dove venga, chi l’abbia innescata e perché, ma la rivoluzione digitale è accaduta e ha cambiato l’esistenza degli umani. L’uomo è oggi dunque migliore? O peggiore? È una domanda posta male, in realtà: la mutazione non è dovuta alla svolta tecnologica, è il contrario. Vi è stato un cambiamento di mentalità che ci ha portato a scegliere la strada tecnologica per significare questo cambiamento, ma non era l’unica, quella obbligatoria e nemmeno quella che generava più profitto; piuttosto, era la più adatta a quel tipo di uomo che aveva già incominciato a cambiare, nel tentativo di scappare dalla civiltà del Novecento. Un secolo di una ferocia inaudita, che ha segnato la memoria collettiva”.
“Di questo “uomo nuovo” facevano parte coloro che lottavano per una controcultura americana. Alcuni di loro erano hacker, nerd, che incominciavano a intuire nel digitale una fonte di liberazione, di fuga dall’élite e dal potere, e la possibilità di creare mondi liberi. Non siamo figli degli hippy, ma dei nerd, che passavano notti a giocare a videogame e programmare. L’invito di The Game è questo: ricordarci che qualsiasi cosa pensiamo è iniziato come una fuga geniale da un mondo agghiacciante, quello novecentesco”.
Fra egli elementi di questa eversione o scomposizione del potere vi è al sua distribuzione alle masse del personal computer; il potere passa nelle mani del singolo. L’eversione – nota Maurizio Canetta, intervistando Baricco – passa dalla redistribuzione del potere…“Sì, i nerd intuirono che i disastri del mondo dei padri poggiava su due punti. Anzitutto, era un mondo bloccato, in cui non circolava l’informazione, un mondo capace di fare Auschwitz senza che nessuno lo sapesse. Una cosa tipicamente novecentesca. Era poi un mondo con dighe, barriere, limiti che non si potevano trapassare. Ne è la dimostrazione la tragedia delle due guerre, seguita poi da quella fredda. Tiravano righe ovunque e ogni riga diventava un fronte di guerra. Come se ciò non bastasse, tutto il potere era concentrato in gruppi molto ristretti. Pensiamo alla bomba atomica: in quanti hanno lavorato per crearla? Si parla di qualche centinaio di persone, un’arma che può distruggere un intero pianeta, ma decisa, portata avanti da un gruppo talmente piccolo da essere surreale, una sorta di élite, appunto, economica, politica, militare, che ebbe una responsabilità immane. La tecnologia si è dunque presentata all’improvviso come un tipo di tecnologia che rendeva impossibile l’impunità di questi piccoli gruppi decisionali, come invece era accaduto in passato. I computer, da macchina amica, che lavorava non contro di te ma con te, diventa arma di sovversione del potere”.
In The Game, Baricco sostiene che al cuore di questo cambiamento ci sia il videogame, nuovo modello culturale e di riferimento. Perché? “I videogame sono in origine il punto di partenza del lavoro di ricerca di coloro che ci hanno portato alla civiltà occidentale. Quello che fa il computer o lo smartphone lo si può infatti capire guardando a quello che fa un videogame. Già in origine, il videogame era la palestra in cui saggiare le possibilità del computer. Pensiamo ai device, gli strumenti che oggi stringiamo in mano in ogni momento. Sono tutti costruiti con la logica del videogioco, cioè secondo almeno tre caratteristiche portanti: sono basati su un sistema input-risposta; non hanno istruzioni per l’uso; c’è sempre un “punteggio” per tutto quello che facciamo (operazione riuscita/non riuscita). Ogni cosa per noi è diventata così, perfino fare una chiamata a casa. Tutto oggi è retto dalla logica del videogame”.
In questo quadro, che speranze hanno le élite? Devono sparire? “La rivoluzione digitale è stata appositamente pensata per mettere fuori gioco le élite. Quando usiamo google ci fidiamo di un sistema in cui gli esperti non esistono, senza parlare di Tripadvisor: degli sconosciuti ci indicano il ristorante migliore, eppure ci fidiamo. C’è un’intelligenza collettiva. La rivoluzione digitale che abbiamo fatto ha dunque bisogno di un’élite nuova, questo sarà il prossimo passo da compiere. In questo senso siamo in uno stato di drammatica attesa. Dobbiamo attraversare questo deserto. Non siamo in grado di valutare esattamente le conseguenze di quello che abbiamo scatenato. E non è sorprendente: quando teoricamente fai una cosa così inedita, accettando di concedere un numero alto di possibilità a una quantità di persone sterminata è molto difficile capirne le conseguenze. Ma si notano già dei punti deboli, ad esempio la tossicità. Il game ci immette in un ritmo tossico, di input-output continuo”.
“Torno quindi a ribadire che oggi più che mai abbiamo bisogno di un ritorno all’umanesimo. Più andiamo dalla parte del game più mancherà l’umanità. E vorrei far notare che la rivoluzione digitale è partita per la maggioranza da individui maschi, ingegneri e scienziati, americani e bianchi. È dunque una rivoluzione che nasce con uno squilibrio portante nella sua natura. Una delle possibilità perché le cose migliorino, dunque, è certamente quella di includere in futuro intelligenze, sensibilità che in un primo momento non sono entrate in gioco nel processo. Il non-ingegnere o il genio femminile ad esempio. Tanti hanno saputo costruire qualcosa anche sulla minorità, sulla sconfitta, la non grandezza, cose che non hanno a che fare con il game, che è partito in modo visionario ma sta pagando miseria delle sue componenti genetiche”.
E quindi un auspicio fondamentale: “Oggi coloro che crescono nella dimensione umanistica non sono come Leopardi, certo, ma sono loro che riusciranno a rimettere l’umanesimo in circolo; penso a coloro che si dedicano agli studi umanistici. Purtroppo l’erudizione oggi è un disvalore. Studi i madrigali fiorentini del 1580? Non conti nella società. La sfida, dunque, sarà integrare questi due percorsi biografici, del gamer e dell’erudita, dato che entrambi, in realtà, contano”.
Laura Quadri