Un ramo secco?

È una storia vecchia. Già sentita, che si tratti di media a stampa o elettronici. Se si deve risparmiare, invece di puntare sui colossali sprechi cavalcati negli anni, la prima sacrificabile è la cultura, perché si considera la quantità e non la qualità, senza nessun rispetto per chi la fa e per le migliaia che comunque ne usufruiscono. Si taglia un ramo secco, come binari dismessi.

E quando monta la polemica, per salvare la faccia (anche questo un déjà vu) allora si afferma ipocritamente: ma no non la si smantella, la si spalma ovunque per toglierla dal suo “ghetto” elitario, per catturare più pubblico (o più lettori), per realizzarla in maniera diversa, divulgativa, popolare… Certo, metterla dappertutto e quindi da nessuna parte, sottrarla alla sua dimensione riflessiva e identitaria per “alleggerirla”, ridurla ad intrattenimento, perché la cultura è roba pesante, guai produrre pensiero, noioso ma anche pericoloso. Sappiamo pure come questa storia vecchia va a finire, spazi sempre più ridotti e insignificanti, nel marasma del tutto e niente.

Rete Due accoglie ambiti di grande tradizione radiofonica, che hanno partecipato all’evoluzione culturale del Cantone come ad esempio il radiodramma: dopo lo scioglimento della gloriosa compagnia di prosa, ha trovato il modo di proseguire anche attraverso soluzioni innovative e sperimentali dal punto di vista registico, di allestimento e produzione sonora. Senza dover ancora ricordare, in senso generale, il numero di professionisti e personalità che vi lavorano o collaborano da tempo. Approfondimenti sull’attualità, interviste, presentazioni, recensioni, dibattiti, una finestra sempre aperta sulle realtà e problematiche locali e internazionali, sui temi fondamentali che ci riguardano e che non si possono confondere nelle chiacchiere e nelle canzonette, per carità, lecite ma che sono un’altra cosa. Rete Due, oltre ad interpellare studiosi e rappresentanti della cultura di fama mondiale, proprio per le sue caratteristiche peculiari offre spesso voce a chi esercita diverse discipline artistiche e normalmente non trova altri canali per esprimersi, giovani, esordienti o confinati in qualche maniera, perché cultura non vuol dire sempre e solo “ri-conoscere” (la fama di chi ce l’ha già), ma anche “conoscere”, significa scoperta e sorpresa, uno stimolo all’intelligenza.

Gli ascoltatori non sono una massa, come quella degli stadi? E allora? Non hanno diritti, in un mondo che più che mai oggi si batte per la difesa delle minoranze? Ragionare solo in termini di audience, trascurare la qualità di ciò che conta veramente e produce alla fine ricadute di benessere per tutti (lo abbiamo capito in questo periodo pandemico) vuol dire andare verso situazioni di esistenza aride e superficiali, che porteranno ad un impoverimento generalizzato.

Manuela Camponovo

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