Venezia 77: Il Concorso si accende con The Disciple e Pieces of a Woman

“Pieces of a Woman” di Kornél Mundruczó.

Dopo i primi giorni di timorosa riapertura, con il fine settimana il Lido si è finalmente animato, anche nel pieno rispetto delle norme anti-assembramento introdotte per la 77.ma edizione della Mostra di Venezia. La prontezza con cui gli addetti alla sala rimproverano chi, con discrezione, azzarda uno spostamento della mascherina dalla faccia, sta dando buoni risultati in termini di disciplina, insieme alle misure per il tracciamento degli spettatori, ai quali non è in alcun modo consentito lo scambio del proprio posto, in modo da essere facilmente ricontattati in caso di contagio.

“Padrenostro” di Claudio Noce.

Ma il vero termometro del ritorno alla normalità rimane – a livello mediatico, visto che dal vivo è nascosto dal contestato muro bianco – il red carpet, dove non sono mancate le tradizionali polemiche, stavolta scatenate dall’arrivo in laguna dell’(auto)invitatosi Matteo Salvini, che ha voluto assistere a Padrenostro di Claudio Noce. Un dramma italiano ispirato alla reale storia del regista, figlio del vicequestore Alfonso Noce, che ha subito un attentato durante gli anni di piombo. L’invito dell’attore protagonista e produttore Pierfrancesco Favino a non strumentalizzare l’opera è quantomai pertinente, visto che il regista cerca di sottrarre la vicenda alla dicotomia politica, per farne un racconto sui fantasmi con cui ognuno di noi deve imparare a convivere per accogliere il proprio io adulto. Senza svelare troppo, il bambino protagonista, dopo aver assistito a una sparatoria che aveva come bersaglio suo padre, sviluppa un’intensa amicizia con un misterioso ragazzino venuto dalle periferie, un’estranea presenza, vagamente pasoliniana, che potrebbe far deflagrare del tutto il già compromesso equilibrio della sua famiglia. Giocando sullo sfasamento dei piani temporali e sull’ambiguità tra realtà e immaginazione infantile, il film non offre possibilità di lettura univoche, ma viaggia su binari inconsueti per il cinema italiano, con qualche eccesso espressivo e una sincera voglia di superare schemi narrativi ormai vetusti.

Ben più tradizionale è invece l’incedere di Quo vadis, Aida?, solida ricostruzione di una pagina nera della storia recente: la pulizia etnica perpetrata dai militari serbi a Srebrenica nel 1995. La prospettiva è quella di un’interprete delle Nazioni Unite che, all’interno della base militare, prova disperatamente a mettere in salvo gli uomini della sua famiglia. Se la prova di Jasna Djuricic potrebbe ambire a qualche riconoscimento, il film colpisce soprattutto per la durezza dell’attacco riservato ai militari ONU olandesi e ai fatali errori di valutazione da loro compiuti in quella circostanza.

Altro film d’attori è l’opera sinora più forte e convincente passata in concorso, Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó. Si parla di una coppia, e di un momento ricco di aspettative come il parto, concluso però dal peggiore degli imprevisti. Dramma cassavetesiano incastrato tra interni e piani sequenza emotivamente difficili da sostenere, nel film brillano soprattutto le grandiose interpretazioni femminili di madre – Ellen Burstyn – e figlia – Vanessa Kirby.

“The Disciple” di Chaitanya Tamhane.

In odore di premi sarebbe anche l’indiano The Disciple di Chaitanya Tamhane. Un’attualissima riflessione sul talento e sulla memoria culturale in un mondo ormai ridotto alla superficie di computer e talent show. Il protagonista sogna infatti di eccellere nella musica classica indiana, di cui sente di essere anche uno dei pochi depositari rimasti. Ma dovrà fare i conti con l’inconciliabilità tra la sua ambizione e quell’ascetico contatto con l’assoluto che è condizione necessaria per il rispetto dalla tradizione musicale. Ipnotico ed elegantemente affilato, The Disciple è una sorta di musical che immerge anche il pubblico più distante nelle sonorità dei raga, e che solleva diversi interrogativi validi per la società dello spettacolo di qualsiasi latitudine.

Infine, hanno già conquistato una medaglia sul campo anche le commedie presentate sinora al lido. The Duke, Fuori Concorso, ha raccolto il plauso generale grazie alla sua sceneggiatura a prova di bomba – sul furto reale del ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery di Londra, avvenuto nel 1961 – e a una scuola di attori britannici – i veterani Jim Broadbent e Helen Mirren – che non necessita di presentazioni. Mandibules di Quentin Dupieux, invece, ha risollevato dalla loro pesantezza anche gli spettatori più snob e pretenziosi, consegnandoci direttamente nelle mani di due amici ebeti alle prese con… una mosca gigante da addestrare. Comicità dell’assurdo, scambi di persona e deformazioni fumettistiche introducono a un mondo dove non mancano le storture, ma dove l’amicizia può ancora trionfare (forse).

Francesca Monti

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